"Fa rabbia vedere tutti i soldi che l'Italia e l'Unione europea spendono cercando di fermare un fenomeno inarrestabile. Rendendo più facile la concessione dei visti per entrare in Europa, abbinando misure meno costose a una politica di incoraggiamenti al ritorno, tutto costerebbe meno e sarebbe più efficace”. Questa la ricetta del 75enne Abdoulaye Bah, il primo immigrato clandestino d’Italia che ha ottenuto la cittadinanza 23 anni fa.
È arrivato in Italia il 9 ottobre 1967 e, da allora, ha fatto tanta strada. Ha lavorato come clandestino all’Iri e ha rinunciato persino a una raccomandazione di Giulio Andreotti. “La mia famiglia, in Guinea-Conakry, era benestante. Mio padre - racconta all’Agi - era tra gli uomini più ricchi del paese, già prima dell'indipendenza. Mi fece fare la scuola presso i preti, poi andai a Belgrado e presi il diploma di geometra”. Poi arriva in Italia regolarmente all'inizio del 1963, ma anziché ripartire decide di fermarsi. “Doveva essere per pochi giorni, e infatti pochi giorni dopo mi sono scaduti i documenti. Ma io sono rimasto", dice Bah che, questa estate, si trovava a Nizza il 14 luglio quando il camion di Mohamed Lahouaiej-Bouhlel fece una strage. Ora dice di provare "impotenza" di fronte ai barconi che si rovesciano e tanta rabbia per chi sfrutta i migranti e chi semina odio. In Italia si è iscritto all'università, da clandestino, ma fu aiutato economicamente dalla Chiesa. “L'arcivescovo di Firenze, Ermenegildo Florit, - dice - mi faceva mangiare alla mensa della Caritas e dormire all'albergo dei poveri. Fui notato da un professore di statistica, Giuseppe Parenti. Mi chiamò per chiedermi perché facessi tanti esami quando i miei compagni che conoscevano l'italiano (il mio era tutto meno che perfetto) non ci riuscivano. Mi ascoltò e alla fine mi diede un incarico pagato 25.000 lire al mese". Dopo la laurea decide di tornare a casa ma non può.
"Ero a Parigi, mi venne a trovare mio padre. Gli dissi che volevo rientrare per aiutare il processo rivoluzionario in corso nel nostro paese. 'Per la nostra etnia tira una brutta arià, mi disse, 'è meglio se non tornì. 'Come faccio?', dico io, 'non ho uno straccio di documentò. Mi guardò e mi fece: 'Arrangiatì”, racconta. “Io mi arrangiai. Purtroppo – ammette - aveva ragione: dopo qualche anno morì in un campo di concentramento del regime e tutti i suoi beni vennero sequestrati. Lui, figlio di un oppositore della colonizzazione francese". Per rientrare in Italia, Bah, cerca di falsificare la data di scadenza del passaporto, bruciando l'ultima cifra ma è un disastro. Cambiò strategia e da Parigi prese il treno per Roma e, quando si fermò a Mentone, lui si rinchiuse in bagno e riuscì ad arrivare in Italia. Nella Capitale inizia una nuova da clandestino e per campare lavora come redattore di un mensile.
"Mi occupavo di diritti delle donne, problemi della gioventù, apartheid, lotta contro la segregazione negli Usa, decolonizzazione e attualità internazionale. Mi pagavano 20.000 lire al mese. L'affitto me ne prendeva 15 000, con il resto mi arrangiavo per mangiare; per i vestiti – conclude - prendevo quelli della Caritas"- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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