"Richiesta irrituale". L'ira di Mattarella verso il Pd

Il capo dello Stato seccato per essere stato tirato in ballo sull'incidente al Senato

"Richiesta irrituale". L'ira di Mattarella verso il Pd

Roma - Non si può, è «irrituale». A Sergio Mattarella è bastata una parola, una sola, per rifiutare l'incontro urgente chiesto dal vertice del Pd e rintuzzare l'offensiva renziana verso il voto. Quindi no, non si può, niente crisi. Quanto alle elezioni anticipate, per il presidente è impossibile sciogliere il Parlamento prima di una riforma che armonizzi i sistemi di voto delle due Camere. Tanto più che c'è una mediazione in corso su quote, collegi e liste, promossa proprio dal Colle.

Il capo dello Stato, in visita a Sulmona, sorvola sui temi di politica interna e preferisce parlare della «cultura come strumento per superare le difficoltà». Pensa al terremoto, ma non solo. «Il nostro Paese nel mondo è visto e apprezzato e amato in larga misura per il suo patrimonio storico. E questa condizione è quella che ci rende forti come comunità nazionale anche sugli altri versanti, da quello dell'economia a quello sociale». Insomma, ci muoviamo su un equilibrio delicato, c'è qualche vago segno di ripresa e buttare tutto a mare sarebbe assurdo e contrario all'interesse nazionale.

Da qui l'irritazione silenziosa con cui Mattarella sta vivendo gli ultimi sussulti di Palazzo. Innanzitutto per la stramba richiesta di udienza da parte del Nazareno, rispedita subito al mittente per le vie brevi e riservate perché appunto, «irrituale». I presidenti della Repubblica, spiegano infatti dal Colle, si occupano di problemi istituzionali e non hanno mai interferito nella dialettica tra i partiti e sulle questioni parlamentari. Infatti a gennaio, quando Altero Matteoli, Forza Italia, fu confermato alla presidenza della commissione Trasporti con i voti grillini, nessuno si sognò di portare il caso davanti al capo dello Stato ventilando cambi di maggioranza o crisi di governo.

E poi, secondo motivo di fastidio, il sismografo politico si è impennato proprio nel bel mezzo del negoziato segreto condotto dal Quirinale con Pd e Forza Italia sulla riforma elettorale. Come ha spiegato più volte, Mattarella non ha nessuna intenzione di portare l'Italia al voto e ritrovarsi un Paese ingovernabile, senza vincitori, o peggio con due vincitori, uno alla Camera e uno al Senato. Per avere un risultato omogeneo, prima di tutto bisogna rendere i due sistemi compatibili.

Vista ormai l'impossibilità di varare una legge di sistema condivisa, Mattarella si accontenterebbe di un accordo tecnico. Nelle prossime settimane riceverà le forze politiche, intanto, direttamente e attraverso vari ambasciatori, sta insistendo con Berlusconi e Renzi per convincerli a condividere un decreto che sistemi almeno tre punti prima del voto: la definizione dei collegi per il Senato, la parità di genere nelle liste, la selezione dei parlamentari in modo da evitare che debba essere fatta per sorteggio. Il presidente vorrebbe pure uniformare le soglie di sbarramento, che attualmente sono fissate al tre cento alla Camera e all'otto al Senato. E su questo le posizioni sono distanti: Renzi vorrebbe una quota alta per far fuori piccoli partiti, mentre il capo dello Stato, per assicurare il diritto di tribuna sarebbe orientato a fissare il tre pure per Palazzo Madama.

E c'è pure una terza circostanza che ha indispettito il capo dello Stato, e cioè che le acque si siano

agitate in un momento critico per il Paese, alla vigilia del Def, con l'Europa che ci pressa per rientrare di 3,4 miliardi e lo spread a 200. Come dice l'anti-Renzi, il ministro Orlando, «non si può scherzare con il fuoco».

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