Quella riforma grillina che fa tremare il governo

Dalla prescrizione bloccata alle intercettazioni a strascico, ecco la giustizia manettara dei Cinque stelle

Quella riforma grillina che fa tremare il governo

La prescrizione congelata. Il trojan, il micidiale virus inoculato nel telefonino. E lo Spazzacorrotti. Non basta: il programma giustizialista del partito più giustizialista d'Italia è un work in progress. All'orizzonte dei 5 Stelle c'è un'altra strettoia per gli imputati: la reformatio in peius della pena inflitta in primo grado.

I grillini non fanno sconti e nel loro «manifesto» sulla giustizia sognano un mondo a misura di manette. Del resto nel programma dei 5 Stelle si fa un riferimento esplicito, quasi una dichiarazione di guerra, ai «colletti bianchi che non pagano per le malefatte commesse». Ci vorrebbe più galera, se non altro per dare al popolo la soddisfazione di vedere i potenti nella polvere.

E allora occorre accelerare per realizzare una rivoluzione che è già a buon punto e che sta già dispiegando i suoi effetti: si pensi all'uso del trojan. «E, importante allargare... l'uso del trojan, ad una platea più vasta di reati e in particolare a quelli contro la pubblica amministrazione», si legge in un testo scritto in vista delle elezioni del 4 marzo 2018.

Detto fatto, il caso Palamara è la dimostrazione di come le nuove tecnologie possano «arare» i dialoghi fra commensali, fino ai sospiri. Per una parte dell'opinione pubblica va bene cosi, anche se le intercettazioni sono per loro natura uno strumento grezzo, avrebbero bisogno di trascrizioni accurate e meditate e non di essere sbattute in tempo reale sui giornali. Ma è cosi un po' su tutti i temi, con i 5 Stelle che premono sul pedale e i leghisti che frenano o dovrebbero frenare. E ci si chiede come possano coabitare due forze che anche sulla giustizia hanno culture, sensibiltà, filosofie opposte. Dunque, mentre Salvini si indigna per le conversazioni pubblicate dai quotidiani, i 5 Stelle invitano i media ad una scorpacciata, divulgando tutto ma proprio tutto quello che c'è nelle reti della polizia giudiziaria.

Ed ecco che la cultura del sospetto fa un passo in avanti con le pagine dedicate alla reformatio in peius: «Il diritto di impugnare una sentenza di condanna - scrive il Movimento alla vigilia del 4 marzo 2018 - non può comportare che dall'appello della stessa ne possa conseguire solo un beneficio per l'imputato senza che questo rischi, quando ne sussistono le condizioni, una rivalutazione complessiva dell'entità della pena anche in senso peggiorativo».

Insomma, al peggio, è il caso di dirlo, non c'è limite. Si tratta solo di capire come questa idea possa essere applicata. Ad esempio inasprendo le pene, oppure pagando penali salatissime o, addirittura, in certi casi riformulando in secondo grado il capo d'imputazione. Per gli imputati che cercano di scrollarsi di dosso una condanna, potrebbe diventare pericoloso o addirittura controproducente giocare la carta dell'appello.

E tutto questo mentre la riforma in dirittura d'arrivo della prescrizione rischia di complicare in modo infernale anche la vita di chi è stato assolto: si può rimanere in balia dei tempi di un'eventuale impugnazione, dentro una tenaglia per mesi se non per anni. Siamo sul piano inclinato di una giustizia sempre più dura, quasi feroce che taglia le garanzie e i diritti in contrasto con la predicazione leghista e più in generale con il programma del centrodestra che è stato abbandonato e tradito.

Ma i 5 Stelle sono già oltre: dopo aver introdotto il whistleblowing (la delazione tra dipendenti pubblici) si studia già il passo successivo. La denuncia anonima fra le toghe. E cosi la delazione potrebbe arrivare fino alla magistratura.

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