La riforma del Jobs Act spacca la maggioranza

Via libera in commissione Lavoro ad alcuni emendamenti graditi ai dissidenti Pd Ncd insorge: contentino alla minoranza. Diventa decisiva la partita sull'Italicum

Roma«Si è riaperto il dialogo, sulle riforme vogliamo ricucire con il Cavaliere ed è possibile farlo», assicura un esponente del governo Renzi. Il premier continua a giocare con il bastone e la carota nei confronti di Forza Italia, ma l'intento è quello di riportare in aula i berlusconiani, quando a marzo si arriverà al voto finale della Camera sul bicameralismo. E il clima di unità nazionale che si fa strada sulla crisi libica può essere prodromo di un appeasement istituzionale, dopo i sanguinosi scontri post Quirinale, sotto gli auspici del neo-Presidente Mattarella.

In casa democrat si sottolinea come ieri il capogruppo di Fi Renato Brunetta sia salito al Colle da solo a denunciare il golpismo renziano. «Non si era mai vista una cosa del genere, per Sel al Quirinale è andato Vendola con entrambi i capigruppo. È evidente che altri, come il capogruppo al Senato Romani che la riforma la ha votata, non condividevano l'iniziativa», fanno notare ai vertici del Pd. Le ironie si sprecano: «Da Forza Italia a Forza Renato, sic transit gloria mundi », twitta la parlamentare Alessia Morani. Altri sottolineano come, nonostante i toni bellicosi contro Renzi, lo stesso Brunetta abbia invocato uno «spirito di condivisione» auspicato anche da Mattarella. Insomma, il disgelo potrebbe essere alle porte, si augurano al Nazareno. E una discesa delle truppe di Fi dall'Aventino sul quale le ha guidate Brunetta consentirebbe anche di zittire la sinistra del Pd, che da giorni si straccia le vesti sull'assenza delle opposizioni dall'aula.

La partita cruciale, per Renzi e i suoi, resta quella dell'Italicum che è in attesa di definitiva approvazione alla Camera, e su cui la minoranza Pd spera di poter riaprire i giochi se trovasse una sponda in Fi. L'obiettivo della fronda anti-Renzi è quello di modificare - in qualunque punto - l'Italicum a Montecitorio per poterlo rimandare al Senato, e tentare di affossarlo. Ma se Berlusconi terrà duro sulla legge elettorale che ha contribuito a costruire prima della rottura del Patto del Nazareno, il Pd è pronto ad aprire a qualche correzione della riforma del Senato nel prossimo esame a Palazzo Madama.

Mentre si tenta di ricucire con Fi sulla riforma del Senato, la maggioranza ieri si è spaccata in Commissione Lavoro: si votava il parere sui decreti attuativi del governo sul Jobs Act, e il presidente Cesare Damiano, della sinistra Pd, ha messo ai voti una serie di modifiche che, secondo Ncd - che ha votato contro - comportano «un ritorno indietro sui licenziamenti collettivi, un restringimento su quelli individuali, un aumento degli indennizzi e la non applicazione del Jobs Act al pubblico impiego». Insorge anche Maurizio Sacconi, che presiede l'analoga commissione del Senato: «Il prezzo dell'unità del Pd sembra essere una regolazione complessa e incerta, ancora condizionata dall'ideologia».

Il dubbio che si tratti di un contentino per tenere buona la minoranza Pd è fondato. Tanto più che un esponente del governo spiega: «Il parere del Parlamento sulla legge delega è obbligatorio sì, ma non vincolante: è l'esecutivo poi a scegliere se tenerne conto o meno».

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