Fa una certa impressione constatare che ogni giorno c'è una notizia che dimostra come il pianeta giustizia ormai appartenga ad una dimensione parallela, sconnessa con la realtà: il Governatore Toti costretto alle dimissioni con la custodia cautelare; David Ermini, già parlamentare del Pd ed ex-vicepresidente del Csm, che viene chiamato a dirigere la holding del presunto grande corruttore del governatore Ligure, cioè l'imprenditore Aldo Spinelli; e dopo la vicenda che ha coinvolto uno dei miti del giustizialismo italiano, Piercamillo Davigo, un altro mostro sacro delle procure italiane, Giuseppe Pignatone, ora presidente del Tribunale vaticano e già a capo delle procure di Reggio Calabria e di Roma, è finito sotto inchiesta per aver insabbiato nel '92 le indagini su mafia e appalti quelle che per molti costarono la vita a Paolo Borsellino.
Sono fatti diversi, che non hanno relazioni tra loro, ma rappresentano insieme le scosse del terremoto che sta sconvolgendo i nostri palazzi di giustizia e il nostro sistema giudiziario. In questa grande confusione, infatti, vengono meno i freni inibitori e ogni giorno vengono superati i limiti del buonsenso e dallo stato di diritto e ci si addentra nella legge della giungla. Ad esempio, con il caso Toti si era già andati oltre il confine che divide il garantismo dall'arbitrio: costringere un governatore con la custodia cautelare a dimettersi prima di un qualsiasi giudizio, con la scusa che nello svolgimento del suo ruolo potrebbe reiterare il reato, è roba che fa accapponare la pelle perchè un meccanismo di questo tipo ha una conseguenza politica immediata quando siamo ancora ai prolegomeni dell'azione giudiziaria.
Un'operazione del genere, lo si voglia o meno, si presta al dubbio che abbia una ratio squisitamente politica. Se poi il coimputato, il presunto corruttore, Spinelli, chiama a dirigere la sua holding un ex-parlamentare del Pd di lungo corso, fino a ieri ancora membro della direzione del Pd e già vicepresidente del Csm, cioè dell'organo di autogoverno della magistratura, parliamo di David Ermini, quel dubbio diventa lecito com'è lecito immaginare che quella mossa punti ad ottenere soprattutto una copertura politica.
Così assistiamo da un guazzabuglio che allunga le ombre e trasforma il caso ligure in un grande pasticcio che da una parte ripropone il tema dell'uso politico della giustizia e dall'altra investe il costume e il buongusto. Tant'è che neppure il candidato in pectore della sinistra, Andrea Orlando, nasconde il suo imbarazzo.
Non parliamo poi del caso Pignatone che testimonia il disorientamento che regna sotto il cielo delle procure del Belpaese. Mentre i pm di Firenze continuano ad insistere con il teorema folle che ipotizza un coinvolgimento di Silvio Berlusconi nelle stragi di mafia, a Caltanissetta si indaga sulla possibilità che più di trent'anni fa alcuni magistrati abbiano insabbiato il filone mafia-appalti, cioè l'inchiesta sui legami che sarebbero intercorsi tra esponenti di Cosa Nostra e il gruppo di Raul Gardini, un argomento che richiama alla mente l'agenda rossa di Borsellino e l'attentato di cui fu vittima. Insomma, assistiamo ad un tourbillon di inchieste e di fatti che disorientano e intaccano la fiducia dell'opinione pubblica nel nostro sistema giudiziario.
E poi c'è qualcuno che ha ancora dei dubbi sull'esigenza che venga riformato, che sia necessario mettere un punto a capo. Sono quelli che si rendono conto che certe notizie fanno crescere in molti un desiderio irrefrenabile di scendere da questa giostra impazzita.
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