Nell'Aula di Montecitorio semideserta si apre l'asfittica discussione sulla riforma del Senato. Alla fine della mattinata di un venerdì che promette nella Capitale un week end dalle temperature primaverili partecipano al dibattito sul ddl appena 7 deputati su 630, più il ministro Maria Elena Boschi e il sottosegretario Ivan Scalfarotto nei banchi del governo. Con la seduta pomeridiana si arriva al massimo a 20 deputati, meno dell'1 per cento.Eppure, si tratta della riforma costituzionale per eccellenza voluta dal governo Renzi. Quella rivoluzione «storica» capace di scatenare i più aspri scontri tra maggioranza e opposizioni e all'interno del centrosinistra. Quella che il premier vuole appuntarsi al petto come una medaglia e i suoi nemici vorrebbero veder naufragare per accelerare la crisi dell'esecutivo e dell'alleanza di governo. Però, evidentemente, il richiamo del fine settimana è più forte. O forse non è il momento di scatenare gli attacchi più duri né di difendere il nuovo assetto costituzionale che segna la fine del bicameralismo perfetto.I primi voti sulla riforma sono previsti per la settimana prossima. La discussione e il voto degli emendamenti ha il termine del 4 dicembre e per l'11 gennaio 2016 è fissato il voto di Montecitorio.Tra gli scranni vuoti della Camera in mattinata Ignazio Abrignani parla per Fi. Simone Baldelli, vicepresidente azzurro di Montecitorio, dice a titolo personale: «Più leggo le riforme che vengono fatte e più apprezzo la Costituzione così com'è». Elena Centemero ascolta nei banchi di Fi e a riempire qualche altro posto ci sono Andrea Mazziotti di Sc e alcuni componenti del comitato dei 9 capigruppo, tra cui Danilo Toninelli del M5S.
«L'interesse che sta dietro a questa riforma-attacca-è uno solo - dice il grillino - non disturbare il manovratore. Dare tutto in mano a un'unica persona che gestisce l'unico partito che ha la maggioranza in questo Parlamento».Un quarto d'ora prima delle 14 la discussione è bella che conclusa. Si riprende alle 15, sempre più a ranghi ridotti. Si alzano a parlare quelli di Sinistra italiana: Alfredo D'Attorre, Florian Kronbichler e Stefano Fassina. Il primo ribadisce l'intreccio strettissimo tra disegno di legge Boschi e legge elettorale Italicum, critica metodo e merito delle due riforme, annuncia un voto negativo. Dice che il ruolo di stimolo del governo «si è presto trasformato in condizionamento fortissimo sull'intero iter delle riforme», facendo del voto su ogni singolo emendamento un voto di fiducia sull'esecutivo. «Questo metodo - conclude - ha espropriato il Parlamento delle sue prerogative». Lo ascoltano solo tre deputati del Pd: Emanuele Fiano, Gianni Cuperlo e Barbara Pollastrini. Seduto più in alto c'è Rocco Buttiglione dell'Udc. Maurizio Lupi di Ncd ed Ettore Rosato, capogruppo del Pd, parlano tra loro in un corridoio vicino all'Aula.
Langue il confronto nel Palazzo, mentre arriva ai deputati la lettera del Comitato dei giuristi, firmata dal professor Alessandro Pace, che spiega le ragioni del no. «Fermate il ddl», implorano. Se alla Camera continua così, neppure ce ne sarà bisogno. Morirà di consunzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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