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Rifugiati in Italia per sfuggire agli Ogboni. Ma per la Cassazione è una confraternita

Centinaia di richieste per colpa della "setta": "Testimonianze inverosimili"

Rifugiati in Italia per sfuggire agli Ogboni. Ma per la Cassazione è una confraternita

Eh no: non basta la paura degli Ogboni a dare il diritto di rifugiarsi in Italia. Anche perché chi siano esattamente gli Ogboni e cosa combinino in Nigeria non è chiarissimo: setta o Rotary, clan criminale o società di mutua assistenza? Eppure molti dei richiedenti asilo provenienti dalla Nigeria indicano le violenze degli Ogboni come un incubo senza scampo: il catalogo, variopinto e temibile, è riassunto nelle istanze di soggiorno sottoposte in questi anni alle Prefetture, e spesso accolte dai tribunali. Ma ora la Cassazione mette uno stop.

Tutt'altra concretezza hanno le imprese di Boko Haram, la banda jihadista che infesta con i suoi orrori il nord della Nigeria. Ma per motivi puramente geografici, i provenienti dal resto del paese non potevano indicare la fuga dai guerriglieri islamici come motivo dell'asilo in Italia. Così nelle domande di rifugio si ricorreva allo spauracchio degli Ogboni. C'era il profugo che, in modo un po' generico, diceva di «essere in pericolo per la mancata adesione alla setta degli Ogboni» e di temere «malefici e stregonerie ad opera degli appartenenti alla predetta setta». Quello che spiegava di essere fuggito «per paura delle minacce di morte ricevute dagli adepti della setta degli Ogboni alla quale si era rifiutato di aderire alla morte del padre, non essendo disposto a sacrificare la sorella o, in alternativa, la propria fertilità». Nei verbali delle commissioni comparivano storie tragiche: un ragazzo raccontava di essere stato braccato da esponenti «della setta degli Ogboni che volevano costringerlo a prendere il posto del padre deceduto e lo avevano cercato a casa dove si era salvato, essendosi nascosto, ma costoro avevano ucciso la madre e successivamente tre fratelli maggiori».

Messe davanti a questi scenari, spesso le Corti d'appello accoglievano i ricorsi dei migranti nigeriani. Era accaduto per esempio l'anno scorso a Bari, dove i giudici avevano dato asilo a un giovane che la setta voleva arruolare al posto del padre morto: «Durante i funerali lo trascinavano per terra nella stanza della bara per iniziarlo al culto»; e, dopo la sua fuga, era stato raggiunto in un negozio e preso a colpi di fucile. «Aveva rivendicato con forza la sua fede cattolica», si legge nella sentenza. E proprio questo aveva convinto i giudici di trovarsi di fronte a una persecuzione religiosa, e quindi della necessità di accoglierlo in Italia. La stessa Cassazione, un anno fa, aveva accolto il ricorso di un giovane che riferiva «di professare la religione cristiana, di essere tuttavia figlio di genitori appartenenti alla setta degli Ogboni alla quale anch'egli avrebbe dovuto aderire, pena la morte».

Ma ora, e ripetutamente, la Cassazione boccia le richieste delle «vittime» degli Ogboni. Da ultimo venerdì scorso, con la sentenza che respinge il ricorso della figlia di un membro dell'organizzazione. Secondo la donna, «i membri della setta esigevano, per celebrare i funerali, il suo sacrificio, quale figlia primogenita». Ma per i giudici la «versione «è assolutamente inverosimile, generica e per diversi aspetti contraddittoria».

Anche perché «quella degli Ogboni non è una setta di assassini, bensì una confraternita».

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