Oggi, come da previsioni iniziali, il Consiglio dei ministri si occuperà solo della questione Covid, mettendo sul tavolo la tanto attesa road map delle riaperture. I provvedimenti per far fronte al caro prezzi dei carburanti, invece, restano in agenda per domani, perché spiegano da Palazzo Chigi era difficile affrontare in un colpo solo due dossier tanto impegnativi. Senza contare che sul secondo fronte, quello delle misure anti-rincari, Mario Draghi sta cercando di muoversi d'intesa con l'Ue.
Non sarà possibile attendere le decisioni del Consiglio Ue di Bruxelles del 24 e 25 maggio, perché ormai il tempo stringe. Ma l'intenzione è quella di formalizzare un approccio comune tra i Paesi europei. Ecco perché Italia e Germania hanno approvato un accordo bilaterale di solidarietà sul gas, un'intesa che vincola Roma e Berlino a soccorrersi in caso di estrema difficoltà nei rifornimenti. Un patto che sarà sottoscritto nella capitale tedesca il 29 marzo a margine dei Berlin Energy Transition Dialogues dai ministri Roberto Cingolani e Robert Habeck. Un accordo di mutuo sostegno simile a quello che nel 2020 e nel 2021 la Germania ha già sottoscritto con Danimarca e Austria. Ma l'Italia, proprio nell'ottica di un metodo condiviso con i partner europei, è intenzionata a dar vita ad una sorta di «fronte Mediterraneo» per far pressing sull'Ue affinché venga introdotto un tetto europeo ai prezzi delle importazioni di gas. Una proposta su cui Draghi cerca la sponda del premier spagnolo Pedro Sanchez, di quello portoghese Antonio Costa e del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. I primi due incontreranno l'ex Bce a Palazzo Chigi domani, con il greco video-collegato da remoto causa Covid. L'obiettivo è quello di mandare un segnale chiaro all'Ue, chiedendo un tetto comune al prezzo del gas importato (circa 95-100 euro megawatt/ora), così da calmierare i costi. In realtà una partita rischiosa. Non solo perché la Francia non sembra sostenere l'operazione e il dato non è affatto passato inosservato a Palazzo Chigi ma anche perché il cosiddetto price cap rischia di far «scappare» i produttori. Le prime misure in materia, dunque, arriveranno domani pomeriggio con il decreto «taglia-prezzi» per bollette e carburanti. Sul provvedimento lavorano da giorni gli uffici del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, ovviamente d'intesa con il ministero della Transizione ecologica e con il Mef. Il decreto si muoverà secondo due direttrici. La prima è il carburante, puntando a una riduzione di circa 15 centesimi al litro, ma tutelando soprattutto i settori di autotrasporto, agroalimentare e pesca, i più colpiti dal caro prezzi. La seconda sono le bollette, con l'obiettivo di mettere in atto altre misure per ridurre i costi. In particolare, il governo sta pensando di fornire una garanzia dello Stato per permettere alle imprese (forse anche alle famiglie) di rateizzare le fatture. In verità, il tema è ancora oggetto di confronto. E tra Palazzo Chigi e i ministeri competenti si continua a discutere su quale sia la leva su cui agire con più forza: materie prime, oneri di sistema (accise, iva, incentivi, ecc.) oppure oneri di trasporto (la manutenzione della rete).
Molto probabile, invece, che domani il governo decida di ampliare il campo d'azione dei poteri di golden power decisi durante l'emergenza Covid. E che lo strumento che permette all'esecutivo di opporsi all'acquisto di aziende considerate strategiche sia regolamentato esplicitamente per tutelare il mercato dell'energia nella sua accezione più larga. Ma Palazzo Chigi sta ragionando anche su un altro intervento che ha l'obiettivo di disincentivare l'export di materie prime di cui c'è carenza in Italia.
Un prossimo Dpcm dovrebbe infatti elencare una serie di commodity strategiche per le nostre filiere produttive per le quali entrerebbe in vigore un controllo delle esportazioni, ovviamente verso i Paesi extracomunitari. Un modo per salvaguardare gli interessi e i livelli produttivi nazionali e per arginare l'impatto economico dell'invasione militare della Russia in Ucraina.
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