Coronavirus

L'ultima battaglia sui contagi in ditta frena la ripresa: "No a responsabilità per gli imprenditori"

Ambiguità sugli obblighi per esercenti e imprese. Che si infuriano

L'ultima battaglia sui contagi in ditta frena la ripresa: "No a responsabilità per gli imprenditori"

Fidarsi è Fase 1, non fidarsi è Fase 2. La responsabilià del datore di lavoro nel caso in cui, dopo la riapertura delle attività economiche, un dipendente possa ammalarsi di CoVid-19, diventa un vero e proprio caso. Che ieri sera ha tenuto banco nella riunione del consiglio dei ministri chiamata a partorire il decreto con le regole della nuovissima normalità che dovrebbe partire da lunedì. Gli imprenditori pressano le regioni per essere rassicurati sul fatto che riaprire negozi, ristoranti, parrucchieri non costituisca un salto nel vuoto. E le regioni a loro volta chiedono al governo di impegnarsi in merito. E le spiegazioni rese in materia dall'Inail nel corso del pomeriggio non bastano ai governatori, che chiedono che il premier «Giuseppi» Conte sulla spinosa faccenda ci metta la faccia.

La questione è che tipo responsabilità penale e amministrativa potrebbe o dovrebbe gravare in capo all'imprenditore nel caso in cui un dipendente dovesse ammalarsi di CoVid-19 una volta tornato al lavoro. Una fattispecie prevista dal secondo comma dell'articolo 42 del Dpcm del 17 marzo scorso, secondo cui «nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato». La querelle è: se prendersi il Covid equivale a cadere e rompersi un braccio in negozio o a tagliarsi con un coltello nella cucina del ristorante, non potrebbe il titolare essere chiamato a rispondere, soprattutto se non si riuscisse a risalire alle circostanze del contagio? Una circostanza che frena molti imprenditori alla viglia della probabile riapertura e li spinge a valutare se davvero valga la pena rialzare quella serranda.

Ieri in realtà l'Inail è intervenuta con un chiarimento apparentemente rassicurante: «In riferimento al dibattito in corso sui profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro per le infezioni da Covid-19 dei lavoratori per motivi professionali - si legge - è utile precisare che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l'accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro». Responsabilità che, prosegue la nota, «devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative». Insomma, sulla base del principio della presunzione di innocenza, andrebbe provata la circostanza che il dipendente si sia contagiato per una sciatteria del padrone.

Il chiarimento non rassicura del tutto perché lascia alcune zone d'ombra. «Sicuramente è importante il chiarimento fatto oggi (ieri, ndr) dall'Inail - affermano Claudia Porchietto ed Enrico Costa, deputati di Forza Italia -. Rimane tuttavia un'interpretazione insufficiente dal punto di vista giuridico per mettere in sicurezza i datori di lavoro, perché qualora non si intervenisse per correggere tale articolo della norma, gli imprenditori rischierebbero comunque di essere coinvolti in contenziosi di natura civilistica e penalistica pur avendo rispettato alla lettera i protocolli». «Milioni di baristi, ristoratori, commercianti, artigiani e imprenditori - dice il capogruppo di Forza Italia al Senato Anna Maria Bernini - sono in attesa di sapere se e come lunedì potranno riaprire. Il governo procede ancora una volta nella giungla di comitati e task force, arrivando fuori tempo massimo all'appuntamento con il Paese.

È l'ennesima mancanza di rispetto nei confronti di chi sarà costretto a mettere in regola le proprie aziende in poco più di un giorno».

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