"Rischiamo la vita": l'inferno dei controllori

Aggressioni e minacce, i dipendenti hanno paura: «Serve una sala operativa dedicata»

"Rischiamo la vita": l'inferno dei controllori

Milano «Non si può rischiare la vita per fare questo lavoro». Se non fosse che «questo lavoro», il controllore ferroviario, è ormai considerato alla stregua di una prima linea contro la criminalità. E le carrozze di un normale convoglio frequentato da pendolari, possono incutere la stessa sensazione di una buia strada di periferia, ma senza vie d'uscita. Dove in caso di «problemi» la polizia ferroviaria interviene alla prima fermata utile, ma «nel frattempo c'è da sperare che non accada nulla».

Eccola, la giungla quotidiana di chi viaggia e di chi lavora sui binari. Irregolari, malintenzionati, vandali, spacciatori. Hanno paura le passeggere e i passeggeri soli, ma temono per la loro incolumità anche gli operatori delle Ferrovie. Tra loro ci sono giovani donne, proprio come la studentessa aggredita venerdì pomeriggio sul Milano-Mortara, che «non rinunciano a fare questo mestiere» ma che vengono, per lo più «impiegate sulle tratte dell'Alta Velocità», ci spiega Angelo Acquafresca, della Filt Cisl, perché «più sicure». L'inferno, infatti, esplode soprattutto sulle tratte regionali: quella avvenuta alle porte di Milano è solo l'ennesima aggressione in pieno giorno. Nei primi dieci mesi del 2016, il Focal Point di Trenord, monitorato dalla Funzione Security, ha ricevuto 2.069 segnalazioni, un incremento del 51% rispetto all'anno precedente. In 236 casi è stato necessario richiedere l'intervento della polizia. «Oggi non ci sono più fasce orarie, prima queste cose accadevano solo di sera. Abbiamo paura perché questa gente non ha niente da perdere», ammette Antonio Mattera, responsabile provinciale della Ugl Bergamo.

Tanto che la prima indicazione che viene data al personale che ha il compito di verificare i titoli di viaggio è di «non fare questioni», racconta Giovanni Abimelech, segretario della Filt Cisl Lombardia. Possono sfociare in un attimo in «un pugno, uno spintone o in minacce». Poche domande, dunque, senza insistere davanti al rifiuto di fornire le generalità. Una regola che può salvare l'operatore da «ripercussioni» anche una volta sceso a terra, in stazioni che più che un porto sicuro sono a loro volta incubatori di degrado.

La prudenza non è sufficiente, «visto che molte di queste persone sono straniere, irregolari, senza permesso di soggiorno - ricorda il sindacalista - e proprio per la paura di essere denunciate alle forze dell'ordine reagiscono in modo violento. E noi non possiamo sapere se sono armate». Lo sono le guardie giurate che attraverso programmi come «Tratta Sicura», affiancano i controllori nella verifica dei biglietti.

Si parla però di una presenza sporadica che non può certo coprire l'intero servizio su tutta la rete ferroviaria. Per la maggior parte dei loro turni di lavoro i controllori sono da soli. Non lo sono invece i responsabili delle aggressioni. E il vero incubo è l'effetto branco: «Spesso ci sono gruppetti di due, tre, quattro persone che si sentono forti e in grado di fare qualsiasi cosa» e quando interviene la Polfer «si sono già dileguati». La soluzione, «senza bacchetta magica», è il «rafforzamento delle misure di vigilanza», ma non solo a bordo. L'esperienza di Atm, che gestisce il trasporto pubblico di Milano, insegna.

Lo spiega ancora Abimelech: «La metropolitana è sorvegliata da telecamere collegate a una sala operativa dei viaggiatori, a sua volta in contatto con le forze dell'ordine. Da tempo chiediamo la stessa per Trenord, alla Regione e al Prefetto di Milano: è l'unico modo per evitare che questi episodi si ripetano».

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