Ristabilita la verità: ci sono altri "porti sicuri"

Ristabilita la verità: ci sono altri "porti sicuri"

Stavolta c'erano dei giudici a Strasburgo. Solo una corte di dormienti poteva, del resto, accogliere il ricorso che i presunti «umanitari» della Sea Watch hanno fatto firmare ai 36 migranti imbarcati davanti alle coste libiche. Un ricorso firmato da individui che nessuno ufficialmente conosce e che nessuno ha ancora formalmente identificato. Ma soprattutto un ricorso firmato da persone che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, non rischiano assolutamente di subire «serie e irrimediabili violazioni dei diritti umani». Nessuna autorità italiana minaccia infatti di applicare nei loro confronti misure detentive o restrittive. L'Italia, com'è diritto d'ogni Stato sovrano, si sta semplicemente rifiutando di far entrare sul proprio territorio 36 persone provenienti, come risulta dalla sentenza di Strasburgo, da Niger, Guinea, Camerun, Mali, Costa D'Avorio, Ghana, Burkina Faso e Guinea Conakry, ovvero da otto paesi dove non sono in corso né guerre, né carestie. Paesi dove nessun cittadino italiano privo di visto e passaporto potrebbe, peraltro, metter piede. Ma il respingimento del ricorso e il riconoscimento della buona fede di un'Italia a cui la Corte chiede soltanto di fornire, come già fatto, assistenza a chi ha problemi di salute o di età dipende anche da altre ottime ragioni. Tra queste pesano le ambiguità politiche di una Ong tedesca che pretende di sbarcare solo ed esclusivamente in Italia i migranti raccolti illegittimamente all'interno della zona di salvataggio libica utilizzando una nave con bandiera olandese. Ma agli occhi dei giudici di Strasburgo anche la scusa del «porto sicuro» deve esser apparsa quanto mai logora e insussistente. Nei dodici giorni passati davanti a Lampedusa, dopo aver accuratamente evitato d'attraccare in Tunisia, la Sea Watch avrebbe potuto facilmente raggiungere i «porti sicuri» di tutto il Mediterraneo dalla Spagna alla Francia. E avrebbe anche potuto far rotta verso quei porti olandesi che più le competono in base alla bandiera. Anche perché in base al diritto internazionale i 36 migranti della Sea Watch già albergano su un pezzo d'Olanda e quindi spetterebbe a L'Aja - in base alle norme del Trattato di Dublino - occuparsi della loro identificazione e delle loro pratiche d'asilo. Un particolare che in questi anni tutti, dalle Ong all'Unione Europea fino alle Nazioni Unite, hanno volutamente ignorato con il preciso intento di scaricare sull'Italia tutto il traffico di umani proveniente dalla Libia.

Oggi grazie al «no» dei giudici di Strasburgo le ipocrisie politiche delle Ong e la finzione giuridica degli «approdi sicuri» - identificati unicamente e esclusivamente nei porti italiani - ricevono un duro e significativo colpo.

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