di Andrea Cuomo
È la chiusura di un cerchio. Meglio, quella di un tortellino. Si era sempre detto che quella italiana fosse la migliore cucina del mondo, postillando poi che questa gloria fosse tutta delle tavole regionali e familiari e non di quelle dei ristoranti di alto bordo; essendo da sempre, secondo alcuni critici - e non del tutto a torto - una forte tradizione culinaria nemica in certo qual modo dell'avanguardia gastronomica.
E quindi ora come la mettiamo? Ora che Massimo Bottura, dopo una lunga strada di avvicinamento, è stato la scorsa notte nominato a New York, nel corso del Wolrd's 50 Best Restaurants, gli Oscar della cucina mondiale, migliore chef del mondo con la sua Osteria Francescana (che poi non è né francescana né tanto meno osteria)? Boh. Ma siamo felici.
Piccolo avviso: chi scrive non appartiene alla schiera dei corifei del Bottura-pensiero, avendo alle volte fatto notare il fastidioso acritico consenso al suo pur sublime spignattamento così poco consono al laicismo che ogni critica (dal teatro al predessert) deve esporre a vessillo. Eppure il trionfo dello ieratico Bottura, appavesato di tricolore sul palco newyorkese poche ore dopo che lo stesso panno era ricomparso su alcuni balconi italici per motivi pallonari, ci inorgoglisce come italiani e come buongustai. Perché dopo anni di nordici licheni tumulati sui piatti e di alambicchi inevitabilmente baschi, vedere sul tetto del mondo gastronomico chi ha nella sua memoria rigida fette di mortadella e Parmigiano (uno dei suoi piatti simbolo sono le sue cinque stagionature «in diverse consistenze e temperature») non può che darci gioia. E se da adesso sarà ancora più difficile sottrarsi al coro dei peana che da anni accompagna ogni menu, ogni visione, ogni idea, ogni punto di Bottura, pazienza. Se c'è un Messi del cibo preferiamo averlo nella nostra squadra, perdinci.
E infatti ieri tutti si intestavano il Bottura-successo come fosse una vittoria sportiva: da Matteo Renzi al ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, dalla Coldiretti alla Federcuochi. Niente di meno.
L'anno scorso Bottura era secondo, dietro al Celler dei fratelli Roca, esponenti della scuola nordispanica che ancora tanta influenza ha malgrado Ferran Adrià si sia un po' defilato. E infatti il ristorante di Girona è secondo. Terzo invece è l'Eleven Madison Park di New York dello chef Daniel Humm.
E l'Italia? Ha altri quattro chef nei primi cento del mondo: Enrico Crippa di Piazza Duomo, Massimiliano Alajmo delle Calandre di Rubano, Davide Scabin di Combal.zero a Rivoli e Niko Romito di Reale a Castel di Sangro. Un genio anche lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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