Il ritardo del decreto Rilancio apre la porta ai licenziamenti

Il blocco del "Cura Italia" è scaduto dal 17 maggio: il rischio di contenzioso. Nuove tasse sulle scommesse

Il ritardo del decreto Rilancio apre la porta ai licenziamenti

«Il dl Rilancio è stato bollinato e andrà subito in Gazzetta Ufficiale, entro 2-3 giorni arriverà il bonus agli autonomi che lo avevano già ricevuto», ha detto ieri il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. Il testo, firmato dal presidente Mattarella, sarà quindi fruibile da tutti i cittadini italiani a una settimana dall'approvazione in Consiglio dei ministri. «Il livello di mancanza di rispetto di questo governo ha raggiunto livelli semplicemente vergognosi», ha commentato il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli (Fdi).

In mancanza di cifre esatte ci si può soltanto basare sull'ultima bozza del provvedimento che contiene qualche ulteriore limatura rispetto alle versioni precedenti. E, soprattutto, si può cominciare a ragionare sulle conseguenze di questo ritardo legato ai difetti di copertura evidenziati dalla Ragioneria dello Stato.

In primo luogo, il vero rischio è quello di mancare uno degli obiettivi del dl: la proroga del blocco dei licenziamenti stabilito dal decreto Cura Italia. Gli effetti, infatti, sono cessati domenica scorsa. «Il vuoto normativo che si è creato con la mancata pubblicazione del decreto Rilancio potrebbe legittimare le aziende, in assenza di un'espressa norma di legge che lo vieti, a licenziare per ragioni economiche (oppure per giustificato motivo oggettivo) a decorrere dallo scorso 17 maggio», ha commentato Roberta Di Vieto, giuslavorista dello Studio Pirola Pennuto Zei & Associati. Secondo l'esperta, «sarebbe un azzardo perché quando il decreto sarà pubblicato, il divieto di licenziamento sarà valido per cinque mesi decorrenti dalla data del 17 marzo». Si profilerà dunque una questione di retroattività di fatto della legge, che verrà in questo modo a coprire i giorni di vuoto, in ragione della quale sarà necessario stabilire quali dei due interessi in gioco prevalga: se l'interesse del lavoratore alla conservazione del posto oppure quello dell'azienda alla libertà di organizzarsi e quindi licenziare.

Ove le imprese abbiano proceduto a licenziamenti, il rischio di contenzioso è elevato. Sebbene il magistrato tenda a tutelare i lavoratori, la dubbia costituzionalità di una norma retroattiva è lampante.

Allo stesso modo, sta proseguendo la limatura degli stanziamenti per recuperare risorse. Ad esempio, è sceso da 495,7 milioni di euro a 448 milioni la dotazione del fondo previsto per ristorare Regioni e Province autonome delle minori entrate derivanti dalla cancellazione del saldo e dell'acconto Irap di giugno che non saranno quindi più destinate a finanziare il fondo sanitario nazionale. Altri 10 milioni sono stati «recuperati» dal Fondo per la promozione del turismo che nell'ultima bozza è passato da 30 a 20 milioni di euro.

Laddove non si interviene con le forbici lo si fa con la leva del Fisco. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, è riuscito all'ultimo momento ad aumentare il contributo al fondo «salva sport» per i prossimi 18 mesi allo 0,50% degli incassi delle scommesse sportive dallo 0,30% inizialmente previsto. Il fondo garantirà 40 milioni nel 2020 e 50 milioni di euro nel 2021. Se la cifra non dovesse essere raggiunta, la differenza sarà attinta dal fondo annuale da 410 milioni riservato al Coni.

L'aumento fiscale per l'intero settore scommesse - retail, online e virtual - ammonterebbe a 72 milioni di euro l'anno (+17%), secondo le stime dell'agenzia Agipronews. La speranza è che le sorprese fiscali del ministro dell'Economia Gualtieri si limitino solo a questo articolo.

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