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Il ritorno del centralismo per zittire i governatori

Strana alleanza Renzi-M5s per cambiare il titolo V della Costituzione e colpire le Regioni

Il ritorno del centralismo per zittire i governatori

La convergenza che non ti aspetti è un'idea a 5 Stelle che accende la fantasia di Matteo Renzi e prende in contropiede il Pd.

«Quando finirà questa situazione emergenziale bisognerà fare una seria riflessione sul Titolo V della Costituzione». La frase contenuta in un comunicato dei 5 Stelle e subito diventata parola d'ordine dei parlamentari pentastellati, secondo il classico schema grillino, pareva solo una boutade. E invece, nel vuoto pneumatico del vertice di maggioranza di giovedì sera, ideato unicamente per prendere tempo in attesa degli Stati generali, l'idea ha inaspettatamente messo radici. Merito soprattutto della convergenza di interessi con Matteo Renzi e della sua voglia di rivincita sulla sua più grande sconfitta politica: il referendum costituzionale. E ieri l'ex premier ha fatto partire subito la sua macchina comunicativa. Innanzitutto rilanciando su Facebook: «Il caos di queste ore tra Regioni e Stato centrale dimostra una cosa semplice: il Titolo V della Costituzione così com'è non funziona. Quattro anni fa - in quel famoso referendum - avevamo proposto di inserire la clausola di supremazia. Quella scelta ci avrebbe evitato il caos di oggi. È andata come è andata, ma adesso possiamo finalmente mettere da parte le simpatie e le antipatie e fare ciò che serve al Paese?». Poco dopo «fonti di Italia viva» fanno circolare la notizia di una «piena apertura» su riforma del Titolo V e bicameralismo nel vertice di maggioranza.

Il problema è il tempismo sospetto. Difficile pensare che solo casualmente l'iniziativa nasca nel momento di massima tensione tra governo e Regioni sulla gestione dell'emergenza Covid. Si fa strada il dubbio che la legittima esigenza di riformare il Titolo V, non immune da critiche nel centrodestra, diventi la clava per depotenziare i governatori, oggi per tre quarti espressione delle opposizioni. Si apre così un nuovo fronte di tensione, alla faccia degli appelli alla concordia nazionale. «Invece di pensare a mettere mano al Titolo V della Costituzione e a fare polemiche con i presidenti tartassati da decisioni folli di questo esecutivo, - attacca il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari - si chieda, ad esempio, perché il commissario straordinario non ha avviato le gare per potenziare gli ospedali». E polemiche arrivano anche da Roberto Calderoli e diversi esponenti di Forza Italia, da Giorgio Mulè a Francesco Paolo Sisto. «Paradossale - punge l'azzurro Andrea Cangini - che a riformare il Titolo V siano gli stessi che lo hanno approvato e, come allora, vogliano farlo inseguendo meri interessi elettoralistici del momento».

Resta da vedere che respiro abbia l'iniziativa. Il premier Conte, in effetti, all'uscita dal vertice lampo ha genericamente parlato di un tavolo per le riforme istituzionali e anche Leu si è schierata compatta. Silenzio invece dal Pd che pure ha da tempo posto il problema del coordinamento con le Regioni. Il deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti è primo firmatario di una proposta di legge costituzionale che rafforza la «clausola di supremazia» dello Stato sulle materie concorrenti ma per contrappeso inserisce nella Carta la conferenza Stato-Regioni. «Una vera riforma del Titolo V però è questione di medio termine - dice Ceccanti -.

Ora l'urgenza è trovare lo spazio per il dialogo con le opposizioni come chiesto dal presidente Mattarella, visto che i presidenti di Regione ci attaccano perché non si sentono coinvolti».

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