Cronache

La rivincita della Piramide: da sfregio a simbolo di Parigi

Trent'anni fa era un'offesa al Louvre, oggi è un cult Come tante altre opere nel mondo. Un tempo contestate

La rivincita della Piramide: da sfregio a simbolo di Parigi

I l grande motore che ha trasformato nei secoli le città è la possibilità: né la conservazione, né la musealizzazione, né la pianificazione, ma la possibilità. Quando l'architetto Ieoh Ming Pei costruì tra il 1985 e 1989, esattamente trent'anni fa, la Piramide di vetro in mezzo al Louvre di Parigi, volutamente antitetica per volumetrie e materiali rispetto al contesto storico, dimostrò esemplarmente che le città mutano inglobando la contemporaneità, l'urto della contemporaneità, non relegandoli in periferia, tra i campi. La possibilità di dirsi contemporanei - ovvero costruire, innalzare, modellare, trasformare, non solo mantenere - fu fatta nel ventre stesso dell'icona per eccellenza della musealizzazione e della tutela del passato. Allora la Piramide sembrò uno sfregio alla storia del Louvre: ora ne è l'immagine. La Torre Eiffel (1887-1889) ruppe con metallica e prepotente evidenza verticale, giudicata mostruosa, la paesaggistica urbana parigina: ora è uno dei simboli della civiltà umana.

Rimanendo nella capitale francese, il Centre Georges Pompidou che Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini realizzarono negli anni Settanta, fu pensato proprio in netta opposizione stilistica rispetto al tessuto architettonico dei palazzi attorno. Esecrato dai passatisti («sembra una raffineria»), oggi è una delle immagini più ricorrenti di Parigi.

Forse soltanto in Italia la contemporaneità architettonica è relegata alla periferia, perché il centro storico deve intangibilmente vivere del suo patrimonio passato e del finto antico costruito «ad abundantiam» dove si è inibito il nuovo. Però, con buona pace di Vittorio Sgarbi, il Ponte di Calatrava diverrà un'estetica memorabile di Venezia; la struttura di Richard Meier attorno all'Ara Pacis a Roma non ha nulla di leggendario, ma neanche la precedente teca di Morpurgo del 1938, poi demolita, aveva unicità da leggenda, ed entrambe però hanno rappresentato - senza genio - il tempo stilistico presente alla loro edificazione. Gli archi di Daniel Buren a La Spezia, vistosamente osteggiati come fossero un oltraggio alla stratificazione storica di Piazza Verdi, hanno invece reso distinguibile un luogo altrimenti poco contraddistinto. A breve saranno un'immagine della città.

Londra ha accettato invece, senza troppi traumi psicologici, che lo skyline - la linea d'orizzonte della città - venisse spezzato dall'altissima scheggia «The Shard» di Renzo Piano (alta 309 metri), quasi ridicolizzando in verticale il Big Ben (96 metri).

Il grande motore della possibilità - ovvero trasformare i luoghi del vivere secondo le esigenze, le forme, i desideri della contemporaneità - ha mosso la costruzione, tuttora in corso, della Sagrada Familia a Barcellona che, su disegno di Antoni Gaudí, giungerà ad essere impareggiabilmente più impattante - per suggestione, complessità stilistica, innalzamento volumetrico - rispetto alla cattedrale di Santa Croce e Sant'Eulalia. La stregonesca bellezza di Innsbruck non è diminuita, anzi è stata maggiorata dalle architetture della stazione funicolare elegantissime - e orgogliosamente distanti dalla tradizione austriaca - realizzate negli anni Duemila da Zaha Hadid.

L'integrità tra architettura e urbanistica non è un dato statico: anzi è in perenne metamorfosi. Cosa la cambia? La spinta degli uomini alla possibilità, a sentirsi contemporanei proprio agendo sulla possibilità. Una realtà immodificabile - incorruttibile - non ha respiro. La basilica di San Pietro a Roma è stata modificata ripetutamente per secoli. Ed è immagine suprema dell'arte mondiale proprio in virtù di queste constanti modifiche.

Non esiste passato tanto glorioso da rendersi indisponibile ad accogliere il nostro seme moderno. Ogni opera dell'uomo vive nelle sue modifiche.

Intoccabili sono solo gli dei.

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