Brexit sempre più a rischio dopo le recenti dimissioni dell'ambasciatore britannico a Bruxelles sir Ivan Rogers. Il governo di Theresa May l'ha subito rimpiazzato con il fidato Tim Barrow, ma non è riuscito a mascherare il crescente scetticismo di un folto gruppo di alti funzionari in netto conflitto con l'esecutivo. Secondo le indiscrezioni apparse ieri sui principali media nazionali si tratta di una vera e propria «rivolta dei mandarini», delusi da come i ministri stanno affrontando la prossima uscita dall'Europa e dalla mancanza di un confronto onesto e paritario sui termini della questione. Sembra che un folto gruppo di alti funzionari sia già pronto ad abbandonare il campo soprattutto dopo come è stato trattato Rogers.
Non è infatti un segreto ormai che le sue dimissioni sono il risultato di una polemica aperta tra lo stesso Rogers e il governo. Le incomprensioni tra Rogers e la May erano note, ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata la lettera del diplomatico, pubblicata dalla stampa, in cui Rogers ammetteva che le trattative con l'Unione Europea avrebbero potuto durare una decina d'anni.
Rogers era stato accusato di aver fatto personalmente trapelare la notizia, ma dopo la sua uscita di scena il suo sindacato lo difende a spada tratta accusando il governo di averlo fatto fuori perchè troppo indipendente e quindi scomodo. «I negoziati per la Brexit dureranno meno di due anni», ha detto capo negoziatore dell'Unione europea Michel Barnier nella sua prima uscita pubblica sottolineando che «se Theresa May notificherà l'articolo 50 a marzo 2017, il negoziato inizierà alcune settimane dopo, per trovare l''accordo per ottobre 2018», per lasciare il tempo delle ratifiche. «L'Ue è pronta a ricevere la notifica» di Londra per la Brexit, ha aggiunto. «Preserveremo l'unità e l'interesse dei 27 nei negoziati, il mercato unico e le sue 4 libertà sono indivisibili. La scelta da fior da fiore non è un'opzione». «Siamo pronti - ha poi concluso - quindi 'keep calm' e negoziamo».
Gli ha risposto a distanza la stessa May, trovandosi sostanzialmente d'accordo e ribadendo che «il governo britannico non intende estendere i negoziati per la Brexit oltre i due anni». Il governo britannico, ha chiarito, mira ad «un accordo ambizioso» per uscire dall'Ue in tempi non lunghi alle «migliori condizioni possibili». Ed ha spiegato di volere «una Brexit rossa, bianca e blu», evocando i colori dell'Union Jack e la scelta strategica del ritorno alla sovranità nazionale. May ha poi insistito che l'obiettivo sul piano commerciale è quello di un'intesa che permetta al Regno Unito «di commerciare con e di operare dentro il mercato unico» europeo. Ma ha anche assicurato il rispetto della volontà popolare espressa nel referendum del 23 giugno, che significa per la Gran Bretagna «il recupero del controllo dei suoi confini e del suo denaro».
Ieri Dave Penman, segretario generale del sindacato accusa la May di non aver mai appoggiato l'indipendenza dei suoi funzionari, di aver voluto il totale controllo dell'operazione Brexit senza lasciare alcuno spazio per le deleghe necessarie e di essere stata volutamente carente nelle informazioni da condividere con i suoi collaboratori. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Chi la pensa in maniera diversa dal governo è fuori dai giochi. Così, tutti coloro che al pari di Rogers avrebbero gradito un confronto più diretto, adesso stanno considerando se rimanere e inghiottire il rospo o lasciare il posto a qualcuno pronto a dire sempre si.
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