La rivolta dei Paesi fondatori

Eravamo seduti su una polveriera. Ma solo adesso che sta bruciando possiamo sentire quanto scotta. L'ondata di protesta, che lo scorso 4 marzo ha travolto le urne italiane mettendo il Paese nelle mani di un'alleanza inedita e contro-natura, sta ora dilagando in Francia. E Bruxelles non può che prenderne atto: per la prima volta nella sua storia la tenuta dell'Unione europea viene profondamente messa in discussione. E a farlo sono due Paesi che l'hanno fondata. LAPRESSE_20181211164444_27972415 Finora il deficit francese era al 2,8%. Con le misure annunciate ieri sera dal presidente Emmanuel Macron lieviterà al 3,4%. Solo l'abolizione della tassa sui carburanti peserà sulle casse pubbliche per 4 miliardi di euro. Altri sei, poi, serviranno a coprire altri provvedimenti che vanno essenzialmente a sfoltire la pressione fiscale. L'annuncio fatto dall'Eliseo non ha convinto i gilet gialli, che ieri mattina sono tornati subito in piazza, ma ha subito galvanizzato il governo gialloverde. “Quello che rivendicano i gilet gialli ce lo abbiamo nel programma di governo e, azzardo, ce lo abbiamo nella legge di Bilancio”, ghigna Luigi Di Maio pregustando l'eventualità che anche la Francia, proprio come l'Italia, non riesca a rispettare i parametri europei. Ora che lo scontro tra Roma e Bruxelles volge al termine, i gialloverdi sono pronti a giocarsi l'ultima carta per portare a casa una manovra economica con un rapporto deficit/Pil, se non al 2,4%, almeno al 2,1-2,2%, quando invece la Commissione Ue sta chiedendo di non andare oltre la soglia del 2%. Quello che faranno dire a Giuseppe Conte durante il faccia a faccia con Jean-Claude Juncker è semplice: “Se concedete tanto a Macron, non potete pretendere tanto da noi”. Se si ragiona per slogan, tutto sembra filare dritto. Ma, se si va a guardare le misure annunciate dall'Eliseo, cambia tutto. Già il punto di partenza è diverso: il debito pubblico italiano non è nemmeno equiparabile a quello francese. In secondo luogo, la manovra economica del governo gialloverde (ad eccezion fatta di un illusorio accenno di flat tax) è fatta tutta di spese strutturali. E, quindi, nuovi debiti. Le misure annunciate da Macron sono, invece, straordinarie e vanno ad aggredire pesantemente la pressione fiscale. Anziché regalare soldi per starsene in poltrona, il capo dell'Eliseo ha infatti acconsentito ad aumentare il salario minimo senza costi aggiuntivi per i datori di lavoro. E ancora: saranno incentivati bonus di fine anno sui quali non graveranno imposte, sarà cancellato l'aumento della tassazione sulle pensioni sotto i 2mila euro al mese e non saranno più tassati gli straordinari. Qualsiasi raffronto risulterebbe, quindi, grossolano e fuorviante. Anche perché la manovra economica francese ha passato, anche se a voti bassi, l'esame della Commissione Ue. E, quindi, le nuove misure verranno prese in analisi da Bruxelles solo in primavera. Il ché, tradotto in soldoni, significa che Macron avrà le mani libere per almeno sei mesi. Al di là dei distinguo, resta un dato politico molto importante. Bruxelles si trova ora a dover affrontare la levata di scudi di due Paesi fondatori. Italia e Francia hanno deciso di infischiarsene delle regole decise a tavolino e di andare avanti per la propria strada mettendo in discussione l'Unione europea per rimettere al centro il sovranismo nazionale. Non è la prima volta che Stati membri sforano. In passato la Francia lo aveva già fatto. Ma in questo momento storico lo strappo sui conti pubblici assume un valore diverso. In discussione c'è molto di più che il semplice rapporto deficit/Pil. E alla Commissione Ue lo sanno molto bene. Per questo ha già fatto sapere che non farà sconti a nessuno. "L'eventuale superamento del 3% - ha spiegato il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici - non deve estendersi per due anni consecutivi né superare il 3,5% in un anno". Qualora Parigi non dovesse concepire le nuove misure "in via limitata, temporanea e straordinaria", potrebbe beccarsi una procedura di infrazione. "Ma - ha messo le mani avanti Matteo Salvini - mi rifiuto di immaginare che si faccia finta di niente di fronte alle richieste miliardarie che arrivano da un Macron in evidente difficoltà, e si facciano le pulci in tasca agli italiani. Sarebbe veramente la fine di questa Unione europea". La partita, dunque, è ancora una volta più politica che economica.

A Bruxelles, infatti, qualcuno potrebbe vedere Macron come l'unico argine ai populisti e, quindi, essere più propenso alla linea soft con l'Eliseo. Con buona pace dei francesi che, nel frattempo, potranno godere di un Fisco sempre più favorevole e di uno spread sui Bund che è un sesto di quello italiano.

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