Coronavirus

Rivolta sociale al Sud: "Soldi, non cibo"

Gli immigrati minacciano la Protezione civile. La polizia evita il peggio

Rivolta sociale al Sud: "Soldi, non cibo"

Scene di disperazione, urla di protesta, attimi di sfogo che si traducono in invettive contro le forze dell'ordine. Tensioni sociali che rischiano di esplodere. Nelle ultime settimane con la crisi economica che si fa sentire sempre di più, soprattutto nel Sud, si sono moltiplicate le situazioni di disordine come l'assalto ai supermarket e gli acquisti non pagati. A Pozzuoli, dove alcuni abitanti di un rione hanno urlato ai carabinieri: «Siamo disperati a morte, non possiamo mangiare. Ci dobbiamo sfogare, noi siamo capaci di uccidere la gente».

A San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, la Polizia di Stato, è riuscita a placare la protesta di centinaia di immigrati che occupano la tendopoli del piccolo paese della Piana di Gioia Tauro. I migranti hanno rifiutato il cibo consegnato dalla Protezione civile il cui responsabile, Domenico Pallaria, si è dimesso dopo il servizio andato in onda su Report.

A denunciarlo è il vicepresidente della Regione Calabria, Nino Spirlì che, per primo, aveva accolto le richieste del sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi (Pd), che chiedeva assistenza per gli immigrati. Impossibile per loro lavorare e, dunque, procurarsi da mangiare. La Regione si è mossa in meno di 12 ore per far arrivare alla tendopoli una cucina da campo (con tanto di viveri) che è stata rispedita indietro dagli occupanti. «Sono sconcertato, addolorato e intristito. È inaccettabile che i migranti rifiutino il cibo con la violenza, mentre migliaia di calabresi, che stiamo aiutando, non hanno nemmeno un euro per entrare nei supermercati», ha dichiarato Spirlì.

Sono più di quattrocento gli immigrati che vivono nella tendopoli, in precarie condizioni igienico sanitarie. Una situazione che, con l'aggravarsi dell'emergenza sanitaria anche nelle zone del Mezzogiorno, aveva iniziato a preoccupare l'amministrazione, conscia che un eventuale caso di coronavirus all'interno della tendopoli avrebbe potuto far scattare una «bomba sanitaria». Così erano iniziati i primi interventi di prevenzione. La sanificazione degli spazi, l'installazione di una tenda per la quarantena, in modo da poter garantire l'isolamento dei migranti nel caso venissero riscontrati i contagi. Misure che, però, non erano accompagnate dalla necessaria diligenza dei migranti nel rispettare le regole che, nonostante i ripetuti richiami, continuavano ad entrare e uscire dalla tendopoli senza protezioni.

Così, per limitare le uscite e, allo stesso tempo garantire assistenza ai migranti, la Regione era riuscita a creare una catena di solidarietà con la Protezione civile, i Comuni, la Caritas, le aziende e i privati per arrivare ad allestire una cucina da campo all'interno della tendopoli, in grado di fornire mille pasti caldi al giorno. Se non fosse che, ancora prima che la cucina mobile venisse allestita, un gruppo di migranti venuti a conoscenza della novità ha fatto partire la protesta. «Non volevano il cibo, non volevano i pasti, ma volevano i soldi», racconta il sindaco Tripodi.

Una protesta condita di insulti e minacce ai volontari e tanto accesa da obbligare la Protezione Civile, pronta ad entrare nella tendopoli, a fare dietrofront su invito della Polizia di Stato per evitare che i disordini degenerassero.

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