Roma Quando sale sul Colle, alle nove di sera, per rassegnare le dimissioni, sotto sotto Giuseppe Conte forse ancora spera di restare a Palazzo Chigi. «Presidente, il mio governo è finito, adesso siamo nelle sue mani», dice cercando una sponda. Quando riscende, quaranta minuti dopo, il premier uscente ha perso qualche sicurezza: dopo il suo discorso al Senato, e dopo il «ni» del Pd, la sua riconferma appare più lontana. Sul tavolo del Quirinale le carte forti, gli assi, sembrano altri: governo politico di legislatura Pd-grillini o governo del presidente per salvare i conti pubblici. Ma dovranno essere i partiti a trovare la soluzione, il capo dello Stato non muoverà un muscolo, «farà il notaio». Se funziona bene, altrimenti gabinetto di garanzia elettorale e voto tra ottobre e novembre.
Sergio Mattarella accoglie con calore l'avvocato del popolo, lo ringrazia «per la sua azione» e lo prega di «rimanere in carica per l'ordinaria amministrazione». E qui si ferma, perché le condizioni di un Conte bis stanno evaporando. Lo scontro con Salvini chiude la possibilità di un nuovo accordo Lega-M5s e la richiesta di discontinuità di Zingaretti sbarra almeno in apparenza la strada di un Conte riciclato, alla testa di un esecutivo giallorosso. Anche se Matteo Renzi, il vero kingmaker di questa partita, non vuole mettere veti. Certo, la notte è lunga, le sorprese sono probabili, da qualche mese in Italia supera ormai sempre la fantasia. Mattarella lo sa benissimo, infatti si accinge, oggi a partire dalle 16, a compulsare le forze politiche, spiegano, «senza preconcetti e senza ricette già pronte».
In ogni caso dalla prospettiva del Quirinale, con il dibattito parlamentare e le dimissioni di Conte, dopo due settimane di bagarre la crisi si è aperta pure dal punto di vista formale. Già oggi Mattarella parlerà con il presidente emerito Giorgio Napolitano, nel pomeriggio riceverà Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, e i gruppi parlamentari minori. Domani tocca ai big: Fdi, Pd e Forza Italia, e quindi nel pomeriggio M5s e Lega. Mattarella chiederà ai partiti che intenzioni hanno per uscire dal vicolo cieco. Il capo dello Stato si presenterà con calcolatrice e Costituzione, vorrà cioè sapere se c'è una maggioranza che vuole andare al voto anticipato o se, al contrario, una che intende proseguire una legislatura che, in fondo, ha soltanto un anno e mezzo di vita. Dunque è una questione di numeri: prima di battezzare una diversa alleanza, il Colle intende essere più che certo della sua tenuta. Ma è pure una questione di programma. Il presidente della Repubblica non vuole un papocchio, un accordicchio per un governicchio, ma un esecutivo vero e serio, capace di stendere un elenco pure breve di cose da fare e di provvedimenti da varare per mettere in sicurezza il Paese. Vorrebbe anche una coalizione che si dia un orizzonte temporale ampio, se non di legislatura, almeno di un anno. Mattarella domanderà, ascolterà le risposte e deciderà il da farsi. Senza fretta, certo, però senza perdere tempo. Mentre su Roma si allungano le ombre della notte, Salvini tenta l'ultimo spariglio, ritirando la richiesta di sfiducia. Gioco del cerino per scaricare la responsabilità della crac? O un reale tentativo di rianimare in extremis l'alleanza gialloverde? Il Colle ha molti dubbi e non crede che Lega e 5s vogliano davvero fare pace. Mai dire mai, però insomma: troppi veleni, troppi insulti, come si fa a dire «abbiamo scherzato»? Così, al netto dei prossimi cambi di posizione e della difficile trattativa tra Pd e grillini, l'ipotesi calda resta il governo giallorosso.
Se serve un approfondimento, qualche giorno per sistemare i dettagli, il capo dello Stato concederà un altro po' di tempo, magari un secondo giro di consultazioni. Ma se in una settimana, dieci giorni, non si quaglia, allora non resta che un nuovo governo di garanzia elettorale.
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