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"Robinho sconti la sua pena in Brasile". L'Italia vuole l'ex calciatore in prigione

Dopo il no all'estradizione, Nordio chiede che la condanna a nove anni per stupro del campione venga eseguita in patria

"Robinho sconti la sua pena in Brasile". L'Italia vuole l'ex calciatore in prigione

San Paolo. È riesploso in Brasile il «caso Robinho», dopo che il sito di notizie UOL ha diffuso la notizia della richiesta inviata il 31 gennaio scorso dal ministro della Giustizia italiano Carlo Nordio al governo brasiliano di fare scontare all'ex calciatore i 9 anni di condanna passata in giudicato per stupro nei confronti di una 23enne albanese in una discoteca di Milano, nel 2013, quando il calciatore giocava nel Milan. Per assurdo che possa sembrare, infatti, Robinho continua libero nel paese del samba, dove vive in un condominio di lusso a Guarujá, città molto amata dal presidente Lula e da ex tesorieri del suo partito, il Pt, sul litorale di San Paolo. L'Italia ne aveva chiesto l'estradizione lo scorso anno ma era stata negata a novembre perché la costituzione brasiliana vieta l'estradizione di qualsiasi latitante nato nel territorio verde-oro, e Robinho è originario di São Vicente, sul litorale paulista.

Lo stesso governo di Brasilia, all'epoca presieduto da Jair Messias Bolsonaro, aveva però suggerito all'Italia di fare quanto Nordio ha fatto a gennaio, ovvero una richiesta ufficiale affinché l'ex calciatore scontasse la pena in patria. Detto fatto: «Chiediamo che il caso sia sottoposto all'autorità giudiziaria competente per autorizzare, in conformità con la legge brasiliana, l'esecuzione della pena di nove anni di reclusione inflitta a Robson de Souza dalla sentenza del Tribunale di Milano», si legge infatti nell'ordinanza firmata da Nordio, il 24 gennaio.

Sinora nessuna risposta da Brasilia anche se il ministero degli Esteri brasiliano l'ha ricevuta ma Robinho è ancora libero perché la Corte Superiore di Giustizia (STJ) non ha ancora riconosciuto la sentenza italiana e ci potrebbero volere fino a due anni, vista la burocrazia nel paese sudamericana. Secondo gli esperti ascoltati dal quotidiano Estado de São Paulo è probabile che il STJ lo faccia. «La Corte deve solo esaminare gli aspetti formali. Non c'è modo di evitarlo», assicura Maristela Basso, avvocato penalista e professore di diritto internazionale presso l'Università di San Paolo.

In teoria la questione è semplice e il Brasile dovrebbe solo esaminare se la persona che ha emesso la sentenza nel paese di origine era competente (e lo è), se la sentenza è passata in giudicato (e lo è) e se la documentazione è stata tradotta da un traduttore giurato in portoghese con relativa apostilla. Formalità insomma. «È impossibile che lo STJ non la riconosca. Ora è solo una questione di tempo», spiega Maristela all'Estado. Staremo a vedere, anche perché il realismo magico applicato alla giustizia brasiliana è un classico dai tempi di un altro «caso», quello di Cesare Battisti.

Quando (e se) la sentenza sarà approvata, Robinho sconterà la sua pena in una prigione federale, ha assicurato ieri alla CNN Brasil l'avvocato penalista Leonardo Pantaleão.

Secondo lui, «la possibilità di esecuzione della pena è data dai trattati di cooperazione internazionale tra Brasile e Italia, oltre che da leggi che consentono l'esecuzione di una pena detentiva per un reato commesso da brasiliani fuori dal territorio nazionale».

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