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Roma ultima fermata per Letta: così può perdere la guida dem

Nel Pd c'è preoccupazione per la situazione nella Capitale. Gualtieri rischia di non arrivare al ballottaggio e sarebbe la fine della leadership lettiana

Roma ultima fermata per Letta: così può essere spedito a casa

Ultima fermata Roma. Per Enrico Letta le Amministrative di autunno rischiano di essere il capolinea dell’esperienza alla guida del Partito democratico. Lo scenario si prefigurerebbe se nella Capitale le cose dovessero andare particolarmente male con l’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, come qualcuno inizia a sussurrare. E non per fantasie, ma cogliendo gli umori popolari.

Un primo test è rappresentato dalle primarie del 20 giugno, che vedono in campo, tra gli altri, il deputato di Leu, Stefano Fassina, il presidente del Municipio III, Giovanni Caudo e la paladina dei diritti Lgbti, Imma Battaglia. La preoccupazione a Largo del Nazareno è palpabile, anche se la parola d’ordine è quella di “combattere” in campagna elettorale, fin dalle primarie. Per continuare ovviamente alle elezioni Comunali, perché l’esito non è scontato.

Timori a Roma e Torino

Letta è consapevole dei rischi, anche perché nella tornata autunnale ci sono in ballo altre metropoli. Tanto per capire, a Torino il barometro dem vira verso il pessimismo, a Bologna c’è un grande caos con la spaccatura creata dalla candidata renziana Isabella Conti. Mentre Napoli è un grande punto interrogativo. “Le vittoria a Napoli e Bologna, che pure non sono scontate, non sarebbero sufficienti”, ammettono nel partito, dove c’è ottimismo per la sfida a Milano. In altre parole: il ko a Torino e Roma sarebbe fatale a Letta.

A quel punto sarebbe inevitabile avviare una fase congressuale, la corrente di Base Riformista non aspetterebbe un minuto di più. E se Letta volesse restare alla guida del partito, dovrebbe conquistare il successo al congresso, è la sintesi del ragionamento raccolto da IlGiornale.it. Un altro pezzo del discorso è fondamentale: le sconfitte maturerebbero in due città amministrate oggi dal Movimento 5 Stelle con Virginia Raggi e Chiara Appendino. Un altro duro colpo per la linea che spinge per l’alleanza con i grillini. E un ulteriore conferma per gli ex renziani del Pd, sempre più ostili all’intesa a tutti costi con Giuseppe Conte. L’ex presidente del Consiglio, per molti, è considerato inaffidabile dopo aver accettato la candidatura di Raggi.

Incubo Calenda

Per questo l’inquietudine è alta tra i dirigenti romani, per lo più fedelissimi di Nicola Zingaretti, che tengono il polso della situazione. I sondaggi non sono incoraggianti e il trend alimenta timori su un risultato che “potrebbe vederci addirittura fuori dal ballottaggio”, è l’ammissione di un esponente del Pd. Certo, nessuno osa contestare la candidatura di Gualtieri, nemmeno a microfoni spenti. “È un profilo inattaccabile sotto l’aspetto politico e culturale. La qualità intellettuale davvero fuori discussione. Su questo siamo davvero tutti concordi”, argomenta una fonte interna. Ma c’è un problema: un conto è la caratura culturale, un altro è la capacità di convincere gli elettori. “Gualtieri rischia di essere una figura poco adatta a una città come complessa come Roma, che premia anche la capacità di un candidato di essere empatico”, spiega la stessa fonte a IlGiornale.it.

Il nome che toglie il sonno è quello di Carlo Calenda, che sta andando avanti come un treno anticipando tutti in campagna elettorale. Visita quartieri periferici, affigge manifesti ovunque, rilascia interviste promettendo di cambiare la città, mentre il Pd è ancora incartato sulle primarie. Insomma, il leader di Azione fa paura perché può togliere molti voti alla coalizione guidata dall’esponente dem, anche in virtù di una buona dote comunicativa, è il concetto intorno a cui ruota tutto. La speranza sarebbe quello di un suo ritiro last minute per un ticket con Gualtueri. Ma ormai questo è un pensiero da inserire nel libro dei sogni. Così prende forma un incubo: il ballottaggio proprio tra Calenda e Raggi. Una doppia sconfitta e un grande imbarazzo per il Pd.

Con Letta sulla graticola.

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