Paolo Manzo
San Paolo Esce Dilma Rousseff ed entra Michel Temer alla guida del Brasile che sino a qualche anno fa era visto dai più come un nuovo modello, economico e sociale e che, invece, sta vivendo da oltre due anni una crisi, economica ed istituzionale senza precedenti. Sia chiaro, la votazione del Senato arrivata ieri - con 55 voti a favore e 22 contro - che ha estromesso la delfina di Lula, non è arrivata inaspettata ed è tutto fuorché un colpo di stato, come alcuni a cominciare dalla stessa Dilma continuano a chiamare il cambio al vertice brasiliano, non si sa se per ignoranza, ideologia o interessi privati assai meno nobili. È infatti dalla metà del 2014 che il Brasile è in una crisi economica profonda che colpisce soprattutto le fasce più povere della popolazione. Inoltre è dal 1° gennaio 2015, quando Rousseff ha iniziato il suo secondo mandato, che la prima donna alla guida del Paese sudamericano non riesce ad avere l'appoggio del Parlamento per approvare non solo riforme strutturali le più necessarie, da quella politica alla pensionistica (quasi un trilione di euro le passività della previdenza) ma persino il rifinanziamento delle ormai vuote casse della Rio olimpica.
Contro Rousseff è stato aperto ieri un processo per crimini fiscali questa l'accusa alla base del suo impeachment perché lo scorso ottobre la locale Corte dei Conti ha bocciato il bilancio 2014, un fatto straordinario e mai accaduto, per un motivo molto semplice: conti statali truccati per 106 miliardi di reais, quasi una finanziaria italiana. «Chiedo ai brasiliani di mobilitarsi contro questo golpe, non ho commesso nessun crimine» ha detto nel suo ultimo ed infervorato discorso prima di lasciare il palazzo presidenziale Dilma e, c'è da giurarlo, nelle prossime settimane la «narrativa del colpo di Stato» sarà diffusa ad arte dalle sinistre mondiali, con tanto di ricorso al tribunale dell'Organizzazione degli Stati americani. Ma per rendersi conto che quello di Rousseff, nonostante i suoi desiderata, è solo l'ultimo script rimastole da recitare e che la sua è una parabola destinata a chiudersi qui, bastava guardare quante persone c'erano alla sua uscita ieri dal palazzo di Planalto. Meno di mille. Davvero troppo poche per sperare di mobilitare quei milioni che, invece, sarebbero necessari per «rispondere con la voce della strada» a quello che l'ex guerrigliera aveva appena definito «un golpe».
La realtà dei fatti, invece, è che da ieri Dilma «è ufficialmente imputata in un processo legislativo criminale», spiega il giurista Wálter Fanganiello Maierovitch, già zar anti-droga brasiliano ed oggi presidente dell'istituto italo-brasiliano Giovanni Falcone. Il crimine di responsabilità di cui è accusata è quello sancito dall'articolo 55 della Costituzione brasiliana ed evidenziato lo scorso ottobre dalla Corte dei Conti. «La prima fase del processo dettaglia Maierovitch sarà l'istruttoria, con la raccolta delle prove a carico di Rousseff. Saranno ascoltati testimoni, verificati documenti e Dilma avrà diritto a difendersi, scegliendosi se vuole un avvocato». A quel punto ed entro sei mesi ci sarà la decisione del Senato in seduta plenaria nel merito della questione, «cosa che sinora è mancata perché l'avvocato generale dello stato, Zé Cardoso, nei suoi tanti ricorsi politici non è mai entrato nel merito giuridico - sottolinea Maierovitch - perché così la narrativa del golpe sarebbe caduta subito, sono furbi».
Furbi ma anche ladri, se è vero che i vertici dei principali partiti non solo del Pt ma anche di quelli che in Senato ieri hanno «mollato» Rousseff sono tutti indagati dalla Mani Pulite verde-oro e che il mentore della presidente, Lula, da oggi è di nuovo a rischio d'arresto perché sospettato di avere guidato lo schema di tangenti che ha saccheggiato Petrobras. Temer eredita da Dilma un Paese sull'orlo del disastro economico, con un Pil che tra metà 2014 e fine 2016 si prevede crollerà del 10%, un'inflazione in doppia cifra, 12 milioni di disoccupati e oltre 60 milioni di brasiliani indebitati sino al collo.
Senza contare il deficit di bilancio che, secondo l'ultima relazione di Moody's, potrebbe arrivare a 150 miliardi di euro, un'enormità, frutto di una corruzione endemica e di politiche populiste rimaste ormai senza popolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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