C i sono le ruspe (in versione naturale, in modellini, sulle t-shirt), le cornamuse, i soliti tre o quattro barbari con le corna, i «Renzi, Renzi vaffan...», ma quella che si presenta a Pontida vuol essere più una Lega di (prossimo) governo che di lotta. Lo slogan è «Siamo qui per vincere», e dopo l'esplosione alle amministrative Matteo Salvini, convinto che Renzi cada molto prima del 2018, ci crede davvero. Le fauci delle ruspe sono tutte per lui. «È un governo di pericolosi incapaci. La ruspa non è per i rom, è per Renzi che è più pericoloso. Prima mandiamo a casa lui e poi sgomberiamo i campi rom». Dopo essere sbarcato al Sud e aver portato a Pontida i leghisti meridionali (qualche centinaio), Salvini punta ad estendersi anche nell'elettorato moderato. Lui che si è preso dell'istigatore di odio, dell'estremista, del pericoloso populista, ripete e sottolinea più volte dal palco – davanti a 50mila persone, stima di Salvini - la parola «normale»: «La scelta della Lega è una scelta di normalità, noi non proponiamo cose straordinarie e irrealizzabili, sono altri i fenomeni che coprano i voti con gli 80 euro. Noi proponiamo un Paese normale, per persone normali». Con la figlia Mirta al seguito, dopo aver invitato con sé sul palco decine di bambini con i loro genitori, parla con toni da padre di famiglia di «costruire speranza e futuro per i nostri figli», mentre la paura «la lasciamo a Renzi e alle sue damigelle». All'indomani del clamoroso successo del Family day , ribadisce che con la sua leadership l'unico matrimonio possibile «sarà sempre quello tra uomo e donna, non tra genitore 1 e 2». Cita San Francesco, Luigi Einaudi, e se tira la stoccata a Papa Francesco lo fa con più cautele del solito: «Non mi permetterei mai di attaccare il Papa, sono l'ultimo dei buoni cristiani, ho solo da imparare. Ma rispetto chiama rispetto. È giusto che chi è pagato dai cittadini italiani pensi prima ai cittadini italiani. Monsignor Maggiolini diceva che un conto è la libertà di religione un conto quella di invasione. Buono sì ma fesso no, cristiano sì ma autolesionista no». E sulla visita del Pontefice e Torino: «Mi fa piacere che ha trovato il tempo per incontrare dei rom, sono sicuro che avrà incontrato anche i torinesi esodati». Non possono mancare la guerra all'Europa, che è «un'Unione sovietica criminale, che vuole ammazzare le nostre identità e le diversità», e i punti del programma di governo salviniano: la flat tax, l'abolizione dell'«infame» legge Fornero, degli «indegni» studi di settore, gli asili nido gratis fino a due anni. Ringrazia quegli artisti magari «col cuore a sinistra e il portafoglio in Svizzera» ma che, come Celentano e Jovanotti, hanno «un minimo di onestà intellettuale per riconoscere che c'è qualche problema», mentre per altri come il rapper furbetto Fedez si auspica «un anno di servizio civile».
Negli interventi prevale la linea «da soli contro tutti». Il segretario romagnolo Pini demolisce ogni voce su accordi a Cinque Stelle, «sono tutti di sinistra», il ligure Rixi che in Liguria «ha vinto la Lega non Forza Italia», mentre Salvini non è interessato ad «alleanze partitiche, mi interessa parlare al 50% di italiani che non vota più».
L'unico a rompere la linea è il vecchio Umberto Bossi, dimezzato nei poteri come presidente del Carroccio, già in dissenso sulla Lega in versione nazionale, anche su questo ha da ridire: «Ho sentito dire no alle alleanze. È un errore. La Lega ha bisogno di alleanze con chi vuole cambiare questo Stato, con dei patti chiari. Spero che nessuno nella Lega cerchi i voti per i voti». Non è difficile immaginare di chi parlasse.