"Sì, l'abbiamo uccisa noi". Figlie (e amante) rivelano l'omicidio della vigilessa

Dopo mesi in cella, il "trio criminale" cede in 48 ore. Il piano per appropriarsi dei soldi

"Sì, l'abbiamo uccisa noi". Figlie (e amante) rivelano l'omicidio della vigilessa

Brescia. Il muro del silenzio è caduto a poco più di un anno esatto da quei momenti drammatici. Il primo a crollare è stato Mirto Milani, che ha confessato l'omicidio di Laura Ziliani, l'ex vigilessa bresciana ritrovata morta l'8 agosto scorso in Valcamonica dopo che era svanita nel nulla tre mesi prima. Poi è stato il turno di Silvia Zani, la figlia maggiore della donna, che ha ammesso l'omicidio. Infine, ieri a parlare è stata Paola, figlia 20enne della Ziliani. Nel giro di 48 ore il castello di bugie che era finito persino davanti allo schermo della tv è crollato. Milani, che dopo la confessione è stato ricoverato per un crollo emotivo, non avrebbe scaricato le responsabilità sulle sorelle Zani, ma avrebbe confermato di aver sempre agito tutti insieme. E il movente era proprio quello ipotizzato dagli inquirenti nei mesi scorsi: la forte brama di mettere le mani sull'ingente patrimonio immobiliare di Laura Ziliani, che era vedova dal 2012.

«Trio criminale». Così gli inquirenti definiscono le due sorelle e Milani, fidanzato della maggiore e amante della minore. Dalle indagini effettuate dopo l'arresto erano emersi nuovi elementi, come il ritrovamento di una fossa a pochi metri di distanza dal luogo in cui fu recuperato il cadavere della 55enne quasi 10 mesi fa. Secondo gli inquirenti quella fossa era stata scavata per contenere proprio il cadavere della donna. È nella notte tra il 7 e l'8 maggio che la donna potrebbe essere stata uccisa. Si trovava a letto, mentre era in canottiera e intimo (proprio come è stata poi ritrovata l'8 agosto). Viene stordita con farmaci e soffocata con un cuscino. Dopo l'assassinio viene portata fuori dalla casa di via Ballardini, in direzione Valcamonica.

Nelle 38 pagine degli atti Milani viene indicato come il manipolatore delle sorelle, «che non riuscendo per motivi caratteriali a contrastare la volontà materna, hanno preferito sopprimere la genitrice - scrive il Gip piuttosto che dissentire apertamente con lei circa la gestione del cospicuo patrimonio familiare». Il puzzle viene ricomposto nell'ordinanza, che racconta anche il ruolo cruciale della piccola comunità di Temù ha nel sorvegliare il paese: il 25 maggio un residente nota un ragazzo e una ragazza addentrarsi nel boschetto vicino a casa. I movimenti dei due lo insospettiscono, li segue da lontano col binocolo e quando si allontanano va a controllare: tra le sterpaglie trova una scarpa di colore violetto con delle strisce arancioni.

Ai carabinieri dirà di aver visto addentrarsi nel bosco una delle sorelle Zani insieme a Milani. La scarpa, verificano gli inquirenti, era dell'ex vigilessa, compatibile con quella trovata due giorni prima. Il 10 giugno, invece, nel letto del torrente Fiumeclo, vengono trovati dei jeans. Anche in questo caso la segnalazione arriva da persone che frequentano il paese. Tre minuti prima, Silvia, Paola e Mirto si trovavano a poca distanza dal torrente.

Nel corso delle indagini, sono poi le intercettazioni telefoniche a documentare come Silvia e Paola, a venti giorni di distanza dalla scomparsa della madre in circostanze misteriose, già si congratulavano l'un l'altra per i soldi che di lì a breve avrebbero incassato, riuscendo a dare un anticipo per una nuova vettura e probabilmente e anche ad andare in vacanza.

Parlando dell'affitto di una delle case appena acquisite, Silvia dice a Paola: «Già soltanto con quella paghiamo l'anticipo per un auto nuova () eh eh eh (ride, ndr), poi c***o 900 euro, troppo figo () però cosa più importante così almeno quella settimana lì poi scappiamo che possiamo praticamente andare in vacanza».

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