Madrid Rimangono soltanto ventiquattro ore per formare un nuovo governo che sia lo specchio della volontà espressa dagli spagnoli lo scorso fine aprile. Se il premier uscente, il socialista Pedro Sánchez, premiato alle ultime legislative con quasi quindici milioni di preferenze, giovedì non chiuderà il dibattito in Parlamento con il voto e una lista di ministri da proporre a Re Felipe VI, allora sarà tutto da rifare e ventisette milioni di spagnoli, il prossimo autunno, saranno richiamati alle urne per la quarta volta in cinque anni.
Ieri pomeriggio, al primo turno di votazioni Sánchez non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta del Congresso, incassando 124 voti sui 176 necessari per formare un nuovo governo. Il leader socialista ha capitalizzato i 123 voti della sua squadra di compañeros più quello dell'unico rappresentante del Partido Regionalista de Cantabria (Prc), José María Mazón, mentre i contrari sono stati 170 e gli astenuti 52. A far saltare il tavolo dei socialisti, più che i prevedibili voti contrari del Partido Popular e di Ciudadanos, è stata l'astensione di 52 deputati, tra cui i 41 di Podemos, alleati esterni nell'ultimo esecutivo socialista durato soltanto otto mesi: Sánchez con gli ex Indigndos di Pablo Iglesias vorrebbe plasmare un esecutivo a sola guida socialista, cosa che non piace ai grillini spagnoli, che chiedono, invece, un vicepremier e vari ministeri e rifiutano le «responsabilità simboliche» offerte dal Psoe.
Da più di ottanta giorni, Sanchez è al tavolo con Iglesias in un tira e molla snervante. Quando sembrava fatta l'alleanza e c'erano i numeri per sfiorare la maggioranza assoluta, Iglesias, il professore col codino da tanguero, imponeva una nuova condizione e mandava all'aria le difficili trattative. Ieri il numero uno dei Socialisti, nel suo discorso d'investitura fallita, ha affermato che «su Psoe e Podemos sono rivolti gli occhi speranzosi di milioni di spagnoli che vogliono un accordo per portare avanti tutto quello che unisce le due formazioni di sinistra, ovvero una società di uomini e donne liberi e uguali e in armonia con l'ambiente».
Domani a Sánchez basterà la maggioranza semplice del Congresso per assumere la carica di premier, ma se i numeri della prima tornata dovessero essere riconfermati, per i Socialisti si prospetterebbe un governo di netta minoranza, debole e con poca autonomia. Una cosa è certa: Sánchez non corteggia più i partiti indipendentisti, i catalani di Erc e i baschi di Pnv, che valgono 24 preziosi seggi.
Se riuscisse a convincere tutti i 52 deputati che si sono astenuti martedì, più il «sì» dei Irene Montero, moglie di Iglesias, Sánchez avrebbe un esecutivo di maggioranza assoluta benedetto da 176 voti a favore. Per El Mundo una missione, quasi, impossibile. Meglio le urne.
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