C' è un Salvini di lotta e un Salvini di governo.
C'è un Salvini a Milano, allineato e coperto dietro al candidato di Berlusconi anche quando Stefano Parisi annuncia che lui è pronto a celebrare le unioni gay e che della «obiezione di coscienza» ordinata ai suoi dal capo del Carroccio «non se ne parla neanche». E c'è un Salvini a Roma, che non scommette poi tanto sulla sua candidata Giorgia Meloni e già mette le mani avanti: certo, «il nostro obiettivo è arrivare al ballottaggio», ma se la aspirante sindaca di Fratelli d'Italia non ci riuscisse, pazienza: «Sicuramente io non voto il candidato del Pd neanche sotto tortura. Voterei la Raggi», che in fondo non è così lontana dalle sensibilità melonian-salviniane. Anche se i Cinque Stelle, che secondo Salvini hanno portato «una ventata di novità», negli ultimi tempi «hanno qualche problema di onestà: hanno dato lezione di morale per mesi, poi quando un'inchiesta arriva a casa loro bisogna aspettare le sentenze».
Raccontano che la candidata della destra al Campidoglio non la abbia presa bene, e che ieri pomeriggio fosse su tutte le furie per lo «sgarbo» di Salvini, che della sua scesa in campo è stato il padrino. E infatti a sera il leader della Lega prova a mettere una pezza con una tardiva precisazione: «Al ballottaggio andranno Raggi e Meloni». In verità, secondo i maligni Salvini non è poi così ansioso di vedere un'affermazione personale della Meloni a Roma, che finirebbe per oscurare la sua leadership e mettere ancor più in risalto il fatto che il elader del Carroccio in questa campagna elettorale ha voluto sfuggire alla prova delle urne sulla propria persona, scongiurando la candidatura a Milano.
Salvini, intervistato ieri da Lucia Annunziata su Raitre, sembra ansioso di ricucire con il Cavaliere dopo lo strappo consumato proprio nella Capitale, dove il centrodestra corre diviso su due candidati. E tende la mano a Berlusconi dicendosi pronto a ricostituire la coalizione in vista delle prossime elezioni politiche, quando si tratterà di conquistare il premio di maggioranza alla lista con l'Italicum: «Se c'è da andare da soli, andiamo da soli, non abbiamo paura. Ma il mio obiettivo è lavorare a una coalizione per una alternativa a Renzi più ampia possibile, senza ricommettere gli errori del passato dove c'erano i Fini, Casini, Follini, Alfano». Quindi «la lista unica si può fare, anche con Forza Italia e con un programma serio e concreto». Sì dunque «all'unità» con Berlusconi, a patto che il Cavaliere «non riproponga vecchi arnesi del passato». L'importante, insiste, è riuscire a «battere Matteo Renzi».
Per «fermare» il quale, però, non serve dare sponda ai tentativi di spallata giudiziaria in atto: «Esiste un partito dei giudici - denuncia il leader leghista - che ieri era contro Berlusconi, oggi contro Renzi e magari domani sarà contro Salvini: ecco perché io sono per la separazione delle carriere. Per fermare Renzi non serve un partito dei giudici, bastano gli italiani».
In serata, Salvini torna a Milano e incassa con fair play la presa di distanza di Parisi sulle unioni gay: «Io non costringo nessuno a fare niente. Qualunque sindaco sostenuto dalla Lega sarà invitato a non celebrarle, poi ognuno sceglie secondo coscienza». Stefano Parisi è soddisfatto: «Non c'era dubbio.
È il sindaco che comanda e a Milano, se sarò eletto, comanderò io e faremo quello che bisogna fare, cioè rispetteremo la legalità. Non esiste per un sindaco l'obiezione di coscienza: si risponde ai cittadini e si applicano le leggi».
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