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Sanatoria, beffa della Bellanova: spese a carico degli imprenditori

Ufficializzato soltanto a tre mesi dall'avvio della sanatoria il ticket destinato agli imprenditori che autodenunciavano mesi di lavoro in nero pregressi: per gli agricoltori si tratta di un'ennesima beffa

Sanatoria, beffa della Bellanova: spese a carico degli imprenditori

Settimana dopo settimana quella sanatoria presentata con tanto di lacrime durante la conferenza stampa dal ministro Teresa Bellanova si è rivelata, specie per il comparto agricolo, un palese fallimento. Lo si è visto già con i primi dati presentati a metà giugno, tanto che il governo ha dovuto prolungare dal 15 luglio al 15 agosto le istanze per sanare le posizioni dei migranti, adesso ad emergere è anche una palese beffa per molti imprenditori. Infatti soltanto adesso, a distanza di tre mesi dalla scadenza, è stato reso noto quanto deve essere sborsato da un imprenditore in caso di autodenuncia di un periodo di lavoro in nero pregresso. Si tratta di un 300 Euro per ogni mese, da aggiungere al ticket di 500 Euro al momento della presentazione della domanda di sanatoria.

La beffa per gli imprenditori del comparto agricolo

Come denunciato su La Verità da rappresentanti della Cia, la Confederazione Italiana Agricoltori, quello che più ha colpito di questa situazione è l'approssimazione: “Ma quante aziende non sapendo esattamente l'importo o temendo che fosse molto maggiore non hanno aderito? - si legge nelle dichiarazioni rese al quotidiano – Quelli che lo hanno fatto si può dire lo abbiano fatto 'alla cieca'. Bisogna, dunque, ammettere che questa misura messa in campo dal governo per cercare di contrastare la carenza di manodopera si è rivelata inefficace e poco gradita dalle aziende agricole”.

Presentare con diversi mesi di ritardo la cifra del conguaglio da pagare per i mesi pregressi di lavoro in nero, ha fatto sì che in tanti, come denunciato dagli agricoltori, abbiano preferito rinunciare alla sanatoria e a tutti i suoi (pochi) benefici. C'è chi temeva da un lato di doversi aspettare cifre molto elevate: visto che il ticket iniziale da pagare era di 500 Euro, in tanti hanno pensato a un esborso per ogni mese pregresso di lavoro in nero ben superiore a questa cifra. E dunque, conti alla mano, si è preferito evitare ogni autodenuncia e ogni regolarizzazione. L'incognita sulla cifra esatta ha eliminato molti potenziali attori dalla scena, un autogol del governo molto pesante per l'esito finale della sanatoria.

C'è chi parla di un aspetto quasi grottesco di una riforma su cui peraltro l'esecutivo giallorosso puntava molto. La sanatoria è stata a più riprese presentata come una delle norme principali di questo primo anno di Conte II, tanto da essere contenuta all'interno del decreto rilancio presentato il 13 maggio scorso.

Il fallimento della riforma

Tutto era iniziato ad aprile, quando in pieno lockdown il ministro delle politiche agricole Teresa Bellanova, di fronte all'abbandono dei campi da parte di molti braccianti soprattutto stranieri, ha parlato per la prima volta di sanatoria da attuare per i migranti irregolari. In quel modo, secondo l'esponente renziano del governo, una platea potenziale di 600.000 persone poteva tornare presto a lavoro. In principio è stata solo una battuta lanciata nel mezzo dell'agone mediatico monopolizzato dall'emergenza coronavirus, poi è diventato argomento politico molto controverso all'interno della maggioranza, con tanto di minacce di dimissioni della Bellanova in caso di mancata approvazione della riforma.

Alla fine Giuseppe Conte ha dovuto accontentare Italia Viva, inserendo la sanatoria nel decreto rilancio. In sede di conferenza stampa di presentazione, Teresa Bellanova si è messa a piangere pensando a tutti coloro che sarebbero usciti dalla piaga del caporalato e del lavoro nero. Secondo le stime dell'esecutivo erano attese 220.000 domande di regolarizzazioni delle posizioni, alla fine e dopo un rinvio di un mese della scadenza, ne sono state presentate 207.000.

Per la Bellanova un successo, ma i numeri nascondono un grave fallimento: l'85% delle domande di sanatoria giunte al Viminale riguardano colf e badanti. Soltanto una minima parte invece ha a che fare con il comparto agricolo e alimentare. Dal mezzo milione prospettato ad aprile, alla fine si è arrivati ad appena 30.000 braccianti regolarizzati.

Tutto questo mentre le associazioni di categoria a più riprese hanno chiesto un semplice corridoio verde per permettere il ritorno di quegli operatori comunitari fuggiti provvisoriamente all'estero durante il lockdown.

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