Sanità, terremoti, welfare Un tetto di spesa a tutto ma non all'immigrazione

Aveva ragione un grande liberale come Sergio Ricossa che scriveva: «Gli intellettuali di sinistra amano il popolo come astrazione, lo guardano dall'alto, da un palco». Oggi quelle lenti astratte con cui si guarda al popolo si chiamano austerity. In funzione della quale si sono commessi i peggiori crimini fiscali. Che si tratti di un'astrazione e del fatto che siamo osservati dall'alto, lo dimostra con tutta evidenza il caso della violenta ondata di immigrazione che l'Italia sta subendo. Facciamo un passo indietro. Abbiamo reintrodotto la tassa sulla prima casa poiché, si diceva, stavamo fallendo o in alternativa si affermava che eravamo gli unici a non averla. Si tollera un sistema di welfare sui più deboli e senza lavoro da Terzo mondo, poiché c'è un vincolo di bilancio che non permette di avere la manica più larga. Si affrontano le emergenze, dalle frane ai recenti tornado in Veneto, con l'occhio attento del contabile.

Non siamo impazziti. Non amiamo la spesa pubblica e continuiamo a ritenere che lo Stato migliore sia quello minimo. Non vogliamo più spesa pubblica, per il semplice e banale fatto che siamo noi a finanziarla con le tasse. Per questo ci chiediamo una cosa semplice, aritmetica. Perché esiste, nel nostro Paese, un vincolo di bilancio su tutto, dal welfare ai terremoti, e non esiste un tetto alla spesa per l'immigrazione? È banale, ma è mai possibile che nessun documento ufficiale, nessuna dichiarazione ministeriale ci ha mai fatto capire quanto l'Italia, complessivamente, abbia messo a bilancio per affrontare il problema immigrati? In questo caso sembrano venire meno i medesimi vincoli di bilancio, che esistono per ogni altra attività pubblica. Il diritto da tutelare (l'accoglienza degli immigrati) è forse sovraordinato a tutti gli altri diffusi bisogni che oggi la collettività che paga le tasse sente suoi?

Perché la politica riduce tutto a un dato ragionieristico e non altrettanto avviene sull'immigrazione? Ci hanno spiegato che sanità, pensioni, stipendi, scuole, giustizia, polizia devono contenere le loro richieste entro limiti fissati. Esiste un confine economico alla spesa per l'accoglienza? Non porsi il problema è volerlo nascondere. Gli intellettuali dal loro palco ci diranno che siamo dei cinici economisti.

In realtà ribaltiamo esattamente lo stesso ragionamento che essi ci fanno quando chiediamo di mettere un po' di benzina nel motore di un'economia che non gira: se ogni attività pubblica oggi cade sotto la mannaia della dura legge dell'austerity, perché ce n'è una al di fuori del controllo?

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