
Con la scomparsa di Giorgio Armani si apre il capitolo più delicato della sua storia: quello della successione. Lo stilista che ha ridefinito l'eleganza in oltre cinquant'anni di carriera lascia un impero da 2,3 miliardi di ricavi oltre a un patrimonio stimato tra gli 11 e i 13 miliardi di euro e custodito in un sistema di regole pensato per garantire continuità e stabilità anche senza la presenza del fondatore.
Armani aveva riflettuto a lungo sul tema. "La mia più grande debolezza è che controllo tutto", aveva ammesso in un'intervista al Financial Times, definendosi un workaholic, cioè un malato di lavoro. Perfino durante la sua assenza dalle passerelle per motivi di salute aveva continuato a supervisionare a distanza le sfilate, dalle prove al make-up. Eppure, già da tempo, aveva preparato la transizione "I miei piani per il futuro della casa di moda consistono in un graduale trasferimento delle responsabilità che ho sempre gestito a coloro che mi sono più vicini, come Leo Dell'Orco, i membri della mia famiglia e l'intero team di lavoro".
Il consiglio di amministrazione sarà nominato dai familiari, già presenti in azienda come le due nipoti, Silvana e Roberta, figlie del fratello Sergio scomparso anni fa, l'altro nipote, Andrea Camerana, figlio della sorella Rosanna e al management di primo livello guidato dal braccio destro Leo Dell'Orco. Naturale il coinvolgimento della Fondazione Armani, già titolare di uno 0,1% della Giorgio Armani spa.
Il nodo eredità si lega a uno statuto approvato nel 2016, integrato nel 2023 e rimasto riservato fino a poco tempo fa. Quel documento, ora di stretta attualità, definisce la nascita della futura Giorgio Armani spa, destinata a governare il gruppo "all'insegna della continuità" con principi scolpiti in norme precise: adeguati investimenti, reinvestimento degli utili, gestione equilibrata, coerenza stilistica e comunicativa, attenzione all'innovazione e alla qualità, approccio prudente a fusioni e acquisizioni.
Il capitale sarà diviso in sei categorie di azioni, alcune senza diritto di voto. Tutti gli azionisti saranno uguali davanti al dividendo, ma solo il 50% dell'utile potrà essere distribuito. Gli equilibri di governance, invece, saranno garantiti da categorie di soci forti. Le azioni A, pari al 30% del capitale, attribuiranno 1,33 voti ciascuna e il diritto di nominare tre consiglieri, incluso il presidente. Le azioni F, con il 10% del capitale, avranno 3 voti ciascuna e il potere di indicare due consiglieri, tra cui l'amministratore delegato. Insieme, pur detenendo il 40% del capitale, controlleranno oltre il 53% dei voti. Gli altri soci avranno il 15% a testa.
È assai probabile che in queste categorie si collochi la Fondazione Giorgio Armani, creata dallo stilista proprio per garantire la successione. Nel suo libro autobiografico Per amore, Armani aveva scritto: "Anche io un giorno dovrò cedere il comando e concludere il mio percorso di stilista: non avverrà nell'immediato, ma ci penso da tempo, perché voglio che il frutto di tanta fatica, questa azienda alla quale ho dato tutta la mia vita e tutte le mie energie, vada avanti, a lungo, anche senza di me". Un passaggio meditato e pianificato "con il mio usuale programmatico pragmatismo e la mia grande discrezione".
Lo statuto prevede anche regole stringenti: serve il 75% dei voti in assemblea per fusioni, scissioni e modifiche, mentre la quotazione in Borsa sarà possibile solo dopo cinque anni dall'entrata in vigore delle nuove norme prevista all'apertura della successione. Un approdo ai mercati che lo stesso Armani non aveva escluso, pur ponendo vincoli forti alla distribuzione degli utili e al mantenimento dello stile.
Secondo le valutazioni più recenti, la Giorgio Armani Group potrebbe valere dai 5 ai 7 miliardi di euro (10 miliardi addirittura applicando i multipli di colossi come Lvmh).
E proprio il gigante transalpino di Monsieur Arnault, insieme alle banche d'affari e ai grandi fondi di investimento, Lvmh in testa, guardano da tempo all'azienda, ma la cornice disegnata dal fondatore rende chiara la sua volontà: proteggere l'indipendenza e i valori fondativi. La Fondazione sarà il perno di questo equilibrio. Per Armani, infatti, la successione non doveva essere una rottura, bensì "un processo organico".