"Satira diffamante". Il giudice tedesco difende Erdogan

Il tribunale di Amburgo dà ragione al presidente turco: tagliata la poesia del comico

Un punto a favore di Recep Tayyip Erdogan: il tribunale di Amburgo ha stabilito nel suo primo giudizio che una parte della poesia satirica declamata dal comico Jan Boehmermann è diffamatoria nei confronti del presidente turco. E ne ha proibito la riproposizione di diversi passaggi - quasi la metà del totale, in realtà - nei quali si sarebbe compiuto il reato di diffamazione.

Erdogan si era molto risentito quando, nello scorso mese di marzo, una trasmissione del canale pubblico della televisione tedesca Zdf aveva ospitato uno scatenato Boehmermann - molto popolare in Germania per il suo spirito dissacrante - che aveva messo alla berlina il leader di Ankara. In alcuni passaggi il comico ci era effettivamente andato con la mano pesante: faceva espliciti riferimenti a presunte abitudini sessuali poco dignitose di Erdogan. E proprio quelle il tribunale di Amburgo ha vietato che siano riproposte quando Boehmermann tornerà sulla scena con il suo spettacolo.

La decisione dei giudici tedeschi solleverà comunque, al di là della correttezza formale della loro interpretazione della legge, delle polemiche. Inevitabili del resto, se si considera che la cancelliera Angela Merkel si era con largo anticipo espressa sull'argomento, consentendo che il processo per vilipendio del capo di Stato straniero Erdogan si celebrasse. Andava così certamente nel solco della legge, ma contro l'opinione pubblica del suo Paese, che a maggioranza considerava la celebrazione di quel processo un cedimento indecoroso.

Evidentemente, però, la Merkel ha considerato prioritario il mantenimento di buoni rapporti con il leader della Turchia, con il quale aveva raggiunto - di fatto a nome dell'Europa tutta - onerosi accordi per la gestione del gigantesco flusso migratorio proveniente dalla Siria.

Quanto a Boehmermann, dovrà star bene attento a quel che dirà: in caso di recidiva, rischia infatti una multa fino a 250.000 euro o in alternativa fino a sei mesi di carcere.

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