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Saviano va a processo per insulti alla Meloni. Il vizio dei radical chic

Lo scrittore in tv ha offeso la leader Fdi. Le campagne d'odio contro Berlusconi e Salvini.

Saviano va a processo per insulti alla Meloni. Il vizio dei radical chic

Partiamo con un'avvertenza: in un Paese normale questa non sarebbe una notizia. Ma nel nostro lo è. Anche di un certo rilievo e non solo per i nomi delle persone coinvolte. Più che altro per le loro idee politiche. Ieri il gup di Roma ha rinviato a giudizio Roberto Saviano con l'accusa di diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni: andrà alla sbarra nel novembre del 2022. E la notizia è questa: offendere qualcuno di centrodestra è perseguibile penalmente, anche se a farlo è un «papa» dell'intellighentia radical. Una novità, in questo Paese al rovescio dove chi si nasconde dietro all'etichetta del buonismo può fare quotidianamente - a reti, giornali e siti unificati -, professione d'odio. L'autore di Gomorra, con la delicatezza che lo contraddistingue, lo scorso 7 dicembre aveva apostrofato come «bastarda» la leader di Fdi (e pure il segretario della Lega). Non in una discussione da bar al terzo giro di lambrusco, ma nello studio di Piazzapulita su La7, quindi di fronte a qualche milione di italiani, durante un dibattito sull'immigrazione. C'è tutto il canovaccio tipico dell'assalto buonista: lo scrittore engagé che con la scusa di difendere i più deboli diffama gli avversari politici; il conduttore e gli ospiti compiacenti - di solito accorate vestali del galateo politicamente corretto - che non battono ciglio. Insulti, per altro, nei confronti di una donna. A parti invertite, con uno scrittore di destra che diffama una politica di sinistra, probabilmente avrebbero fatto irruzione i caschi blu dell'Onu direttamente in studio.


Insulti che lo scrittore ha rivendicato in tribunale, come ha raccontato l'onorevole Andrea Delmastro delle Vedove, legale della leader di Fdi: «Mi puntava il dito in faccia dicendo non vi mollo, non vi mollo. In tanti anni da avvocato non mi è mai capitato di vedere un comportamento del genere». Ma d'altronde il caso Saviano appartiene a una lunga letteratura dell'odio radical chic, esiste una vera e propria scuola dell'insulto che ha le sue fondamenta in due principi: la presunta superiorità morale, culturale e financo antropologica di una certa sinistra e la vigliacca, ma motivata, convinzione che la si possa sempre fare franca. Perché la sinistra forcaiola diventa subitaneamente garantista con i compagni che sbagliano, lo faceva con quelli che sparavano pallottole, figuriamoci con quelli che sparano boiate.
Uno dei primi bersagli è stato Silvio Berlusconi. Impossibile riepilogare tutti gli insulti recapitati nei suoi confronti, ci ha provato Luca D'Alessandro nel 2005 e ha tirato fuori un libro di 230 pagine. Sono passati più di 15 anni e solo con quelli collezionati da Marco Travaglio e dai suoi sodali si potrebbero mandare in stampa almeno un paio di tomi. Ma la mannaia dell'offesa si è abbattuta con violenza anche contro esponenti di Forza Italia come Renato Brunetta, Mara Carfagna e Renato Schifani.


Tuttavia Giorgia Meloni, negli ultimi anni, è finita al centro di un crescendo di attacchi violenti e sguaiati. Quasi sempre senza contraddittorio. Ricordiamo i più noti: pochi mesi fa Giovanni Gozzini, ordinario di Storia contemporanea dell'università di Siena, la ha definita «pesciaiola, vacca, scrofa». Dopo una lunghissima polemica è stato punito con tre mesi di sospensione senza stipendio.
Oliviero Toscani nel 2018 la «ritrae» come «brutta, volgare, ritardata». Ma il fotografo ormai ama impressionare più con l'offesa che con le sue opere: non più tardi di due giorni fa ha definito Salvini come «un uomo dalla morfologia preistorica», rimpinguando la folta lista di quelle offese che mirano a disumanizzare il nemico.


Tornando alla Meloni: nel 2017 Asia Argento la incontra al ristorante, le scatta una foto e la pubblica su Instagram: «La schiena lardosa della ricca e svergognata fascista ritratta al pascolo». Interessante notare come non esista il tanto di moda «body shaming» nei confronti di una donna di destra e come sia sempre irreperibile la solidarietà femminile delle varie Murgia. Gianrico Carofiglio, scrittore ed ex magistrato, da par suo ha inaugurato un nuovo filone nell'ambito dell'insulto, una avanguardia: la critica del sospiro di destra. Durante una mitologica puntata di Dimartedì analizza la mimica del leader della Lega e con sprezzo di Salvini, ma soprattutto del ridicolo, inizia a pontificare sul «modo in cui propone i suoi non argomenti, anche il suo sospirare fa parte di un manuale di tecnica di comunicazione della destra americana». Dal nemico ti ascolta siamo passati al nemico ti ausculta. D'altronde Carofiglio è un creativo, è quello che definì, con malcelato schifo, una manifestazione di centrodestra come «un manipolo di gente sudata e accalcata». Corre l'obbligo di ricordare che era il pomeriggio di un torrido giugno a Roma e non una mattinata di febbraio sulle Dolomiti, ma evidentemente tra i meriti della sinistra c'è anche quello di aver sconfitto l'antipatico problema della sudorazione sotto la canicola.


Questi sono soltanto alcuni degli insulti ufficiali, di chi ci ha messo la faccia, la voce e pure la firma. Poi c'è l'oceano rumoroso di tutti gli odiatori seriali che, con la convinzione di essere dalla parte giusta, postano insulti sbagliati e beceri all'avversario politico. La caccia al «linguaggio dell'odio», una certa sinistra, dovrebbe iniziarla da casa propria.

Perché grattando via lo smalto dei talebani del buonismo, troppo spesso, salta fuori un cattivismo discriminatorio e pure un po' razzista.

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