C'è chi ama farsi sculacciare da signorine in stivaloni e chi gode a farsi umiliare in streaming dagli sgrammaticati seguaci di Beppe Grillo. Tutti i gusti son gusti, e Pier Luigi Bersani, il giorno dopo aver annunciato - tra le risate generali e suscitando persino la riprovazione del suo sodale Massimo D'Alema - che i Cinque Stelle sono «il nuovo centro» e «l'argine al populismo», e che a loro deve guardare la sinistra, insiste: lo streaming con Lombardi e Crimi? «Lo rifarei subito. Io sono per il dialogo e loro non sono una cosa paludosa».
A dargli manforte, un po' a sorpresa, arriva Enrico Letta. L'ex premier, dopo aver criticato - dai piani alti di Science Po a Parigi - «l'elitismo» e «il cosmopolitismo» dell'Europa, spiega che «Pier Luigi» ha ragione, che i grillini non sono degli «appestati» né li si può liquidare come «populisti»; che anzi il populismo non esiste, che «bisogna parlarci» e costringerli a fare «alleanze». E che comunque Dibba e Sibilia «non sono la stessa cosa del Front national o di Wilders». Molto meglio, par di capire. Un'apertura sorprendente quella di Letta, di primo acchito. Ma non è difficile capirne le ragioni, alquanto personali: più si legittima come interlocutore e potenziale alleato della sinistra il M5s, più si mette in difficoltà il Pd renziano, che Bersani accusa di voler fare «intese con Berlusconi» (Letta evita questo argomento, visto che nel 2013 grazie a Berlusconi andò a Palazzo Chigi). Se Grillo serve a indebolire Renzi nelle primarie e a fargli perdere le prossime elezioni, evviva il «centrista» e «non populista» Grillo.
Il quale intuisce il regalo dei due astuti strateghi della sinistra e li utilizza immediatamente per lanciare una sorta di Opa ostile sul Pd, accusando Renzi di «aver buttato nel cesso la storia del più grande partito della sinistra occidentale», con una confusa ma veemente lettera aperta ai «carissimi elettori del Pd». Cui annuncia: «Vinceremo, perché voi siete il vecchio e noi il nuovo». Le avance di Bersani e Letta arrivano nelle stesse ore in cui, agitando il finto spauracchio dei vitalizi parlamentari (in realtà aboliti fin dal 2012), i manipoli di deputati grillini hanno sceneggiato risse e tafferugli dentro il Parlamento. Matteo Renzi è duro: «È inaccettabile che, nello stesso giorno in cui il Parlamento inglese viene attaccato, nel nostro ci sia chi inneggia alla violenza e arriva ad usarla», dice. E attacca il modello dispotico da «democrazia eterodiretta» del partito di Grillo, che fa votare sul blog i candidati sindaci e poi «se non gli piacciono li cambia», e che usa «il garantismo a giorni alterni solo per i suoi». Poi, senza citare Bersani e Letta, denuncia «l'atteggiamento culturalmente subalterno al grillismo» di parte della politica e del sistema mediatico. Scatenando l'ira dell'ex comico, che ulula: «Io sarei un despota? Straziati e lividi di invidia per non poter essere mai trasparenti vi abbracciate come pugili suonati al vostro avversario. Arrendetevi!».
A liquidare il filo-grillismo bersaniano ci pensa Matteo Orfini: «Bersani denota un allarmante disorientamento. Pur di attaccare il Pd, giustifica e nobilita fenomeni che dovrebbero preoccuparlo». Il presidente Pd manda anche un messaggio al governo: «Gentiloni dia priorità alle misure importanti per l'Italia». Servono scelte «politiche», spiega, che non vanno lasciate solo ai «ministri tecnici» come Padoan e Calenda.
Intanto nel Pd si accende lo scontro sulla legge elettorale. Lo sfidante Andrea Orlando mobilita i suoi che attaccano Renzi: «Le primarie non possono condizionare il dovere del Parlamento di legiferare», scrivono.
Ma i renziani tengono duro sul Mattarellum: «Ci si conti in Parlamento su questa proposta», dice Emanuele Fiano. E Renzi incalza: «Con la Lega i voti per il Mattarellum ci sono: gli altri vogliono dire di no al Mattarellum? Votino».
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