Un Donald Trump molto orgoglioso ha annunciato ieri agli americani che con l'eliminazione di Abu Bakr al-Baghdadi il mondo è diventato molto più sicuro. Magari fosse vero. Per quanto messo da tempo alle corde e privato del vasto territorio che era riuscito a conquistare, l'Isis è come la mitologica Idra: tagli una testa e altre subito ne ricrescono, senza che il mostro muoia. Lo stesso Trump, nel suo discorso, ha affermato facendosene un vanto di sapere già il nome del successore dell'autonominato califfo. L'Isis insomma continuerà a esistere e a rappresentare una minaccia, a maggior ragione in conseguenza dell'avvenuta fuga di numerosi suoi miliziani che fino a poche settimane fa erano al sicuro nei campi sorvegliati dagli alleati curdi che lo stesso Trump ha ignominiosamente abbandonato al loro destino.
Di tutto questo il presidente degli Stati Uniti è certamente a conoscenza, ma è suo interesse pompare la narrativa della minaccia estirpata, magari senza rendersi ben conto che raccontare quanto siano stati determinati i russi che hanno messo a disposizione proprie basi militari in Siria per agevolare l'operazione americana non depone esattamente a suo merito. Un tempo il Pentagono non avrebbe mai chiesto né il permesso né l'aiuto dei russi: e non solo perché lo stato dei rapporti con il Cremlino escludeva questa possibilità, ma semplicemente perché non ce ne sarebbe stato bisogno.
Donald Trump conta adesso di poter spendere il successo dell'operazione al-Baghdadi a fini elettorali. Ho passato la notte nella situation room della Casa Bianca a seguire l'azione delle nostre forze speciali, ha detto, e tornano alla memoria le immagini di Barack Obama e Hillary Clinton che nel maggio 2011 fecero lo stesso quando i Navy Seals liquidarono Osama bin Laden nel suo nascondiglio pakistano. Ma questa operazione è stata più importante, assicura Trump, perché nel covo di al-Baghdadi abbiamo trovato i piani dei futuri attacchi dell'Isis. Il messaggio agli americani è chiaro: altro che Obama e Clinton, qui c'è un vero presidente che agisce per la sicurezza nazionale, e che i democratici vorrebbero far fuori con la scorciatoia dell'impeachment.
In realtà, Trump rischia di farsi fuori da solo. Con un indice di gradimento che ristagna attorno al 40 per cento, quasi qualsiasi candidato democratico lo batterebbe nel 2020. Il presidente-tycoon ora spera che lo scalpo di al-Baghdadi rilanci le sue chances, ma è in quel «quasi» che riposano le sue maggiori speranze di riconferma. Se infatti i democratici dovessero nominare come sua sfidante l'ultra liberal Elizabeth Warren, Trump potrebbe sperare nel sostegno dell'elettorato fluttuante centrista.
I vertici dem lo sanno, e non è un caso che in questi giorni si stiano agitando alla ricerca di un volto moderato spendibile al posto del debole Joe Biden per contrapporlo alla Warren: si parla addirittura di un ritorno di Hillary Clinton o di John Kerry, il che la dice lunga su quanto male siano ridotti.
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