Lo scandalo intercettazioni: le toghe non le ascoltano

Soltanto il sottufficiale che riassume i colloqui verifica le conversazioni. Il pm: «È impossibile sentire tutto»

Lo scandalo intercettazioni: le toghe non le ascoltano

Racconta Marcello Musso, pubblico ministero a Milano: «Mentirei se dicessi che ascolto personalmente tutte le intercettazioni, perché sarebbe materialmente impossibile. Ma non mi accontento dei riassunti, mi rileggo uno per uno tutti i brogliacci. E le intercettazioni importanti, quelle sì, me le ascolto personalmente». I suoi colleghi in giro per l'Italia fanno come lei? «Non lo so. Ma sono convinto che se non si fa in questo modo, si finisce al guinzaglio della polizia giudiziaria e non si fa il nostro dovere fino in fondo».

E quindi? Chi è in Italia ad avere davvero in mano il controllo delle intercettazioni, formidabile strumento di indagine e arma altrettanto micidiale di campagna giornalistica e faida politica? La vicenda dell'inchiesta di Napoli e Roma sulla Consip, e della intercettazione falsamente attribuita a Alfredo Romeo dai carabinieri del Noe col risultato di inguaiare il padre di Matteo Renzi, solleva un tema delicato. Perché si scopre che in questo caso i magistrati romani si sono ben guardati dall'ascoltare personalmente la chiamata. Probabilmente non hanno mai nemmeno letto i cosiddetti brogliacci, gli appunti di lavoro in cui pare che la conversazione fosse correttamente attribuita a Italo Bocchino. E si sono accontentati di quanto venne scritto nell'informativa, cioè nella relazione conclusiva, firmata dal capitano Giampaolo Scafarto. Un comportamento incomprensibile, ma purtroppo - a quanto è dato di capire - piuttosto diffuso.

Il meccanismo delle intercettazioni è basato su una serie di passaggi successivi. L'ascolto, in base alle esigenze investigative, può avvenire in diretta o in differita. Le conversazioni vengono registrate dai computer piazzati nelle sale ascolto delle Procure o presso i reparti investigativi, e il primo ad ascoltarle è un sottufficiale (dei carabinieri o della Finanza) o un poliziotto: uomini direttamente coinvolti nelle indagini, in grado di riconoscere le voci, di dare un senso alle chiacchiere. Sono loro a stendere il brogliaccio che consegnano ai loro superiori gerarchici, in genere un ufficiale o un vicequestore. Nel brogliaccio in teoria deve esserci tutto. È l'ufficiale che poi stende, firma e invia al magistrato l'informativa finale, che evidenzia i passaggi delle intercettazioni considerati di maggior interesse. Se il magistrato si accontenta, se non verifica personalmente, elementi decisivi possono - in buona o cattiva fede - venire omessi o stravolti: sia nei brogliacci che nella informativa finale.

Ci sono magistrati, come il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, che controllano personalmente la corrispondenza tra brogliacci e informativa. Ce ne sono alcuni, come Musso, che vanno più in là e ascoltano i nastri più rilevanti. Ma ci sono purtroppo molti magistrati che, come nel caso Consip, si accontentano, e prendono per buona la trascrizione che viene loro proposta. A volte per semplice pigrizia, a volte perché risponde ai loro obiettivi.

È per questo, tra l'altro, che buona parte dei progetti di legge sull'utilizzo delle intercettazioni non piacciono agli avvocati.

Ordinare alla polizia giudiziaria di non trascrivere (nemmeno nei brogliacci, a quanto pare) le conversazioni irrilevanti, come ha fatto il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, aumenta a dismisura il potere del sottufficiale addetto all'ascolto, chiamato a decidere cosa sia utile e cosa inutile. E se nel tritarifiuti delle conversazioni «inutili» finiscono quelle che dimostrano l'innocenza dell'indagato?

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