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Scaricabarile di Bonafede sul caso Livatino: permesso deciso dai giudici

Polemiche sul premio per uno dei mandanti. E sui boss scarcerati il ministro fa spallucce

Scaricabarile di Bonafede sul caso Livatino: permesso deciso dai giudici

Contrario ma inutilmente. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede, ospite di Agorà, affronta il tema del permesso premio concesso a Giuseppe Montanti, uno dei mandanti dell'omicidio del giudice Rosario Livatino. E lo fa alla Ponzio Pilato, scaricando il barile sulla magistratura. «Di fronte alla richiesta di uno dei mandanti dell'omicidio Livatino ha spiegato Bonafede alle telecamere di Rai3 - il ministero, per quanto di sua competenza, attraverso il direttore del carcere e il Dap, aveva espresso parere contrario e raccolto dati che lo fondavano. Secondo il ministero il permesso premio non si doveva concedere». Però Montanti quel permesso l'ha avuto, godendosi le sue nove ore di libertà. Questo perché, prosegue il ministro, «ci sono decisioni della magistratura che non condivido», ma che «devo rispettare». E a quel punto, Bonafede ne ha approfittato per rimarcare come «gran parte degli scarcerati è tornato in cella», riferendosi alla famigerata circolare del Dap che durante il lockdown aveva spedito boss e criminali ai domiciliari. Ma il Guardasigilli preferisce omettere di ricordare il danno, e sottolinea invece la pezza per tentare di correre ai ripari, ossia i decreti «antiscarcerazioni» varati dopo che le polemiche avevano investito il suo dicastero, il Dap e l'esecutivo, decreti che Bonafede rivendica come «reazione forte dello Stato», e pazienza se si tratta di una reazione a un atto dello stesso ministero.

Nella sua ospitata, il ministro è tornato anche a elogiare la sua riforma del Csm ricordando lo «stop alle porte girevoli» tra magistratura e politica prevista nel nuovo testo. Una riforma della quale però «si sono perse le tracce», e che «in Parlamento non è mai giunta», come ricorda il capogruppo azzurro in commissione Giustizia alla Camera, Pierantonio Zanettin, bacchettando Bonafede.

Insomma, non c'è pace per il ministro a Cinque stelle. Che finisce nel mirino anche di un'interrogazione firmata dal senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. Il tema è il bando di concorso pubblicato a luglio con il quale il ministero della Giustizia cercava il nuovo direttore generale del Dap. Scaduti i termini, negli uffici di via Arenula erano arrivate le domande di 7 candidati. Ma lunedì scorso il ministero ha prorogato il bando per altre due settimane, riaprendo i termini fino al 28 settembre, sollevando il legittimo dubbio che i nominativi che avevano partecipato non fossero graditi al primo inquilino del dicastero, anche se il motivo ufficiale sarebbe la pubblicazione del bando «a ridosso del periodo feriale» e in periodo di Covid. Motivazioni «alquanto pretestuose», ricorda Gasparri.

Così, nella sua interrogazione, il senatore chiede «di spiegare se non ci siano altre ragioni» e se la riapertura non esponga, con il rischio di «legittimi ricorsi», il malcapitato Bonafede a «una figuraccia dovuta ad un errore così vistoso e ingiustificabile.

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