Coronavirus

Scaricabarile rimborsi. Arcuri incolpa il governo

Il commissario non vuole responsabilità sul "click day": "Ma quale cortocircuito..."

Scaricabarile rimborsi. Arcuri incolpa il governo

Dopo le mascherine, il click day. Il commissario straordinario Domenico Arcuri non ci sta a finire crocifisso ancora una volta. E adesso che a più di tre mesi dall'inizio dell'emergenza sta rientrando la questione delle protezioni individuali, prende le distanze dal flop del meccanismo da telequiz scelto per assegnare i fondi del bando Impresa Sicura di Invitalia stanziati per rimborsare le aziende che si sono messe in sicurezza. Cinquanta milioni di euro evaporati in un secondo, assegnati alle nove in punto dell'11 maggio alle 3.150 imprese che sono riuscite a prenotarsi a tempi record, escludendo in un colpo solo le altre 191.025 che avrebbero voluto candidarsi ma che hanno digitato «invio» con qualche decimo di secondo di ritardo, rimanendo a bocca asciutta.

Qualcosa non ha funzionato. Arcuri scarica la responsabilità sul governo, che «ha affidato ad Invitalia l'attuazione della norma stabilendo che la procedura fosse un click day». «Invitalia ha svolto con efficacia ed efficienza il compito affidato dal governo. Non c'è stato nessun corto circuito o blocco», si difende il commissario durante la consueta conferenza stampa alla Protezione civile, dilungandosi sul meccanismo stabilito per assegnare il denaro stanziato. «È il click day la modalità migliore per rimborsare le imprese dei costi sostenuti per il coronavirus? Quella - spiega Arcuri - è stata la modalità scelta dal governo. Ci sono imprese che non hanno ottenuto il rimborso? Certo le richieste sono state maggiori. Dal mio punto di vista penso sia giusto dare alle aziende un rimborso delle spese che non prevedevano di sostenere, così come penso sia giusto dargli i vantaggi fiscali che gli stiamo dando, una maggiore accessibilità alla cassa integrazione e tutte quelle misure che il governo sta mettendo in campo».

Tra le migliaia di lavoratori che si sono illusi di poter accedere ai fondi c'era anche Matteo Musacci, presidente dei giovani imprenditori della Federazione italiana dei pubblici esercizi, tagliato fuori per un ritardo di 5 centesimi di secondo. Adesso le mascherine per i suoi dipendenti le dovrà comprare di tasca sua. Non ne fa una tragedia, ma lancia un appello al governo per il futuro. «È assolutamente ridicolo che in un secondo e 4 centesimi si siano bruciati 50 milioni di euro di fondi pubblici, lasciando a bocca asciutta il 98,74 per cento delle attività economiche interessate dal bando. Una farsa che non deve più ripetersi. Mi auguro che, dal prossimo bando, Invitalia abbandoni il click day e differenzi le proprie gare tenendo conto, per lo meno, della dimensione delle imprese», dice Musacci.

Sembra intanto superata l'impasse delle mascherine. «La partita è risolta - dice Arcuri - ci abbiamo messo due settimane, abbiamo un campionamento delle farmacie che ci dà un risultato confortante. Il prezzo è rimasto a 50 centesimi». Ne verranno prodotte due milioni a settimana di quelle chirurgiche di tipo 2 e a settembre, secondo il commissario, ne potremo avere 20 milioni al giorno.

Federfarma ringrazia Arcuri per aver riservato ai farmacisti e al personale medico le prime forniture prodotte dalla filiera italiana.

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