Scastja (Lugansk) -
La denuncia è sensazionale e sconvolgente. A lanciarla è Alexander Dunets, ex sindaco ucraino della cittadina di Scastja. Descrivendo la situazione creatasi in questa cittadina di 11mila abitanti conquistata il 24 febbraio dagli indipendentisti filorussi, l'ex sindaco racconta di un clima di terrore, riferisce dell'esecuzione di un oppositore ucciso a sangue freddo nella piazza antistante al Comune e parla dell'angoscia di tanti ex concittadini «costretti a vivere rintanati nelle cantine per paura di rappresaglie». Le sue parole citate nell'articolo intitolato «Esecuzioni in piazza nella città» contribuisce non solo a farmi andar di traverso la colazione, ma anche ad incrinare la mia autostima professionale. La cittadina di Scastja, citata nell'articolo, dista solo 16 chilometri da Lugansk, il capoluogo capitale dell'autoproclamata repubblica filo russa, dove mi trovo da qualche settimana. Quindi, se Dunets dice il vero, il sottoscritto sonnecchia. O perlomeno lavora con gli occhi foderati di prosciutto. Tempo di trovare un'auto e quarantacinque minuti più tardi attraversiamo il fiume Severodonetsk esibendo passaporto e accrediti alle guardie che vigilano sul posto di blocco all'entrata di Scastja.
Qui l'unico ricordo della guerra, iniziata e terminata la mattina del 24 febbraio, è la casermetta della polizia crivellata dai colpi sparati nei pochi minuti di battaglia che hanno preceduto il ritiro ucraino. Più avanti, dopo un lungo viale alberato, entriamo in una cittadina prigioniera non di un presunto assedio, ma di una tranquillità a dir poco sonnecchiante. Nella piazza del Comune, teatro della presunta esecuzione, una netturbina raccoglie con lentezza e ritmi sovietici cartacce e rifiuti. Quando le chiediamo se ha sentito di persone ammazzate davanti al municipio o di gente rintanata nei sottoscala ci squadra come se fossimo dei matti. Poi non appena messa al corrente della denuncia dell'ex sindaco sbotta in una risata. «Ma come fa a sapere tutte queste cose se tutti sanno che è scappato con la macchina del Comune il 24 febbraio?». Ancor più allibita è la vice sindaca Svetlana Klimkova fino al 24 febbraio scorso numero due del sindaco in fuga. «Qui la gente è assolutamente tranquilla, l'arrivo dei russi per noi è stato un sollievo, se di qualcosa dovevamo preoccuparci era del modo in cui Dunets governava la città. Lui non aveva nulla da spartire con noi e con questo paese, ci è stato semplicemente imposto dall'Ucraina. Io sono di qua e, infatti, non avendo nulla da temere sono rimasta. Lui, invece, se l'è data a gambe».
Ancor più sconcertato è Vadim Jivliuk, il sindaco tornato a occupare la poltrona sottrattagli da Dunets nel 2014. «Lui non c'entrava niente con questa città, doveva solo imporci gli ordini dell'Ucraina. In otto anni non ha fatto un bel niente ha solo bloccato finanziamenti e lavori. Quando mi sono ripreso la carica di sindaco ho dovuto far ripartire gli stessi progetti lasciati a metà nel 2014». Il meglio arriva quando spieghiamo che la moglie di un consigliere comunale avrebbe riferito a Dunets dell'uccisione di suo marito freddato davanti all'ingresso del Comune. A quel punto l'intera stanza, dove oltre al sindaco e al suo vice ci sono alcuni consiglieri comunali, non trattiene le risate. «Qui l'unico estraneo era lui - spiega un consigliere - noi la pensavamo tutti allo stesso modo e abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando sono arrivate le truppe di Lugansk».
Del terrore degli abitanti «nascosti nelle cantine» di una città dove non si vede l'ombra di un soldato parla Irina, una mamma 38enne intenta ad attraversare la piazza spingendo il passeggino del figlio. «Pensate - dice - che se vivessimo nel clima raccontato da Dunets porterei in giro mio figlio? Sarei la prima a tenerlo nascosto in cantina».
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