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Sceneggiata di Conte davanti al premier con il penultimatum: "Vogliamo risposte". Ma resta al governo

Anche oggi, la crisi sarà domani

Sceneggiata di Conte davanti al premier con il penultimatum: "Vogliamo risposte". Ma resta al governo

Anche oggi, la crisi sarà domani.

L'incontro fine-di-mondo chiesto dal leader M5s Conte a Draghi (e anticipato a ieri mattina per consentire al premier di mettere subito la fiducia sul Decreto Aiuti e chiuderla lì) finisce con una vibrante richiesta di «discontinuità», non è chiaro di cosa, e di «risposte vere e risolutive» che «possano convincerci a continuare nel sostegno» al governo, perché i 5S hanno «accumulato molto disagio» e il loro elettorato è stato «eroso», come se questo fosse un problema di Draghi e non - al massimo - suo. Nel frattempo, contrordine compagni: oggi si vota la fiducia, domani si vedrà.

Persino il pur fantasioso ufficio stampa e propaganda di Giuseppe Conte fa fatica a star dietro alle giravolte grilline, così dal «corposo dossier» - qualche paginetta coi titoli esplicativi in stampatello tipo: «CONTE: NOI RESPONSABILI MA SERVE DIALETTICA», o ancora: «CONTE: M5S ESISTE PER FARE IL BENE DEL PAESE» - lasciato sul tavolo di Mario Draghi restano fuori le «questioni di principio» su cui l'incontro era stato chiesto, almeno fino al giorno prima. Ossia: nessuna «richiesta di chiarimento» sul famoso casus belli delle presunte telefonate tra il premier e Beppe Grillo per parlar male di lui e delle sue doti di leader, che tanto aveva «sconcertato» Conte per la sua «gravità». Evidentemente, l'ex premier grillino ha giudicato più prudente non approfondire oltre: «Le nostre decisioni sul governo non devono dipendere da questo», anche se «la vicenda non può essere completamente declassata». Solo un po'.

Ma neppure alcun accenno al «ricatto inaccettabile» (a detta sempre di Conte, prima del colloquio) della norma sul termovalorizzatore di Roma nel decreto Aiuti su cui fino a ieri si minacciavano sconquassi: puff, sparita. Ai cronisti che gli chiedono che fine abbia fatto, il capo grillino replica divagando: i termovalorizzatori «non fanno parte della tradizione M5s», e comunque non si può essere «per la transizione ecologica di giorno e per le trivelle di notte». Probabilmente confondendosi tra termovalorizzatori (rifiuti) e rigassificatori (gas).

Da Palazzo Chigi si fa sapere che il colloquio è stato «collaborativo e positivo» e che il dialogo proseguirà. Quanto alle «risposte» attese da Conte, le questioni sollevate (vaghe richieste di «sostegno ai redditi» e contro il «caro bollette», salario minimo, cuneo fiscale, reddito di cittadinanza da confermare), si fa notare dalle parti del premier, sono in gran parte «in continuità con l'azione del governo», altro che «discontinuità». Il gelo tra i due (mascherato con molta cortesia da Draghi e con nervosismo da Conte) comunque resta. E nel governo si respira un certo pessimismo: è chiaro che ora l'ex premier grillino non si può prendere la responsabilità di innescare una crisi e precipitare verso elezioni, che del resto terrorizzano innanzitutto la sua truppa parlamentare. Ma l'estrema fragilità della sua leadership e il caos che regnano in quel che resta di M5s sono palesi: strattonato tra governisti e aspiranti guerriglieri, Conte - appena uscito da Palazzo Chigi - si becca l'accusa di «pavidità» degli oltranzisti alla Dibba, e prova a rialzare in corsa il tiro: «Non ho dato alcuna rassicurazione a Draghi», giura, «la comunità 5S mi chiede a gran voce di portarla fuori dal governo, il futuro dipende dalle risposte che avremo». Intanto spedisce i suoi, da Turco a Licheri, a sparare ultimatum su nuovi scostamenti di bilancio o ad annunciare che «siamo pronti a rinunciare alle poltrone e alla pensione di legislatura» (che in verità si matura da metà settembre, e quindi è già considerata acquisita visto difficilmente si scioglieranno le Camere ad agosto). Dalla confusa agenda di richieste più o meno assurde messe sul tavolo di Draghi traspare l'intento di alimentare il clima di incertezza e tensione permanente. In attesa di un punto di caduta che potrebbe arrivare a inizio autunno: «La vera deadline sarà a ottobre-novembre: il Pd non si faccia trovare impreparato», avverte il dem Marcucci. Quando i 5S proveranno, è il sospetto di molti, a trasformarsi nei «Gilet Gialli» di Maurizio Landini, per cavalcare contro il governo il malessere sociale e l'onda di piazza promessa dalla Cgil in vista della legge di bilancio, a colpi di richieste populiste e sussidi a pioggia. Con la Lega di Matteo Salvini pronta a far lo stesso dalla sua sponda, in un cocktail mefitico di assalti demagogici alla diligenza dei conti pubblici.

Resta da vedere se, per quella data, Conte sarà ancora lì.

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