RomaSe c'è un senso nelle cose, non sarà l'aria di burrasca nel Pd e la scissione «di fatto» tra le sue due anime a far deviare il corso della locomotiva-Renzi ripartita dalla Leopolda. Il governo non cambia binari, non accetta «scambi», anzi. Renzi è deciso a giocarsi il tutto per tutto, persino con l'azzardo di una prova elettorale. Ne è più che convinta la minoranza interna del Pd, «altrimenti non avrebbe ingaggiato un duello del genere nel suo partito», ragiona Pippo Civati.
Il premier in tv a Otto e mezzo ribadisce così la linea, dopo l'incontro di ieri pomeriggio dei ministri con le parti sociali, definito dalla Camusso «surreale» perché non si è aperto alcun dialogo, alcuna trattativa. «Ma trattare cosa?», sbotta Renzi. «Surreale è che il sindacato chieda di trattare con il governo. È ora che ognuno torni a fare il proprio mestiere, il sindacato deve trattare con gli imprenditori... In bocca al lupo e buon lavoro. Ma se pensano che il governo per fare le leggi debba chiedere il permesso al sindacato si sbagliano di grosso, quel tempo è finito. Noi siamo disponibili ad ascoltare, e ci facciano sapere come la pensano anche inviandoci una e-mail. Ma se vogliono cambiare le leggi del governo, si facciano eleggere in Parlamento». Dimenticando che neanche lui è stato eletto a Palazzo Chigi.
Renzi è assai duro con la piazza di San Giovanni che pensa a un nuovo raggruppamento di sinistra radicale, al di là della consueta formula del «rispetto». Non digerisce la prova di forza per un nuovo partito «laburista». In realtà, sostiene, «qualcosa a sinistra del Pd c'è già: ha preso il 4,3 per cento alle Europee nelle quali noi abbiamo raggiunto il 41». Nel contempo non vuole immaginare che cosa ci starà nel 2018, «quando si voterà». Ribadisce che occorre chiudere con la stagione dei «poteri di veto», di coloro che «hanno sempre bloccato le riforme». E riduce i rapporti con Maurizio Landini, auspicato leader di quello schieramento, al capo della Fiom che «la pensa diversamente da me e ascolto volentieri quando si tratta di decidere che fare con l'Ast o l'Ilva...».
Le parole del premier finiscono così per dar corpo all'idea che si è fatta strada negli oppositori interni. «Cerca un incidente per giustificare le elezioni anticipate a primavera», esplicita Stefano Fassina. Gli uomini della sinistra guardano attoniti ai modi usati, «allo scontro che il premier cerca sistematicamente». Prova ulteriore era appunto arrivata ieri pomeriggio, quando le parti sociali sono andate al ministero del Lavoro per incontrare i ministri sulla legge di Stabilità. In mattinata Susanna Camusso, leader della Cgil, aveva fatto sfoggio di ottimismo: «Ci aspettiamo che il governo finalmente sia disposto a discutere». I sindacati si sono invece trovati davanti a un muro: il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, quello del Lavoro, Giuliano Poletti, Marianna Madia della Funzione pubblica e i sottosegretari Delrio e Baretta. I ministri si sono presentati premettendo che non avevano alcun mandato per trattare né tantomeno per rispondere alle obiezioni e proposte del sindacato. «Non abbiamo discusso, ma sentito la relazione del ministro Padoan», diceva la Camusso inviperita soprattutto per quello spirito già emerso nella riunione, poi confermato da Renzi, che «si potrebbe riassumere in mandateci una e-mail». Appare chiaro allora come i margini per scongiurare lo sciopero generale si siano ridotti all'osso. Così come per quelle componenti interne del Pd che pure sperano in una conciliazione in extremis (come Damiano e lo stesso Fassina) piuttosto che una scissione.
Eventualità ormai invece entrata nelle aspettative di Civati, che s'è preso qualche settimana per decidere. «Ma la verità è che è già tutto deciso, ha già scelto Renzi... Ci porterà al voto in primavera». Magari a pensar male si farà peccato. Ma poi si indovina pure.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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