
Un referendum contro il governo ma anche contro l'ala riformista del Pd. E ora i riformisti vanno all'attacco con parole di fuoco. «Un autogol prevedibile - osserva Giorgio Gori, eurodeputato ed ex sindaco di Bergamo - che andava evitato, il Pd sì è infilato in una battaglia ideologica e anacronistica». Sulla stessa linea Lia Quartapelle che su Facebook bolla l'avventura alle urne: «Una battaglia identitaria rivolta al passato». Ancora, altrettanto tranchant è Pina Picierno che non sfoggia certo toni diplomatici: «Una sconfitta profonda, seria, evitabile». Insomma, la resa dei conti è rinviata, semmai si litiga dentro il Nazareno. I riformisti avevano battezzato il Jobs Act dieci anni fa, ai tempi dell'esecutivo Renzi. È andata come è andata: quell'impianto normativo è stato in parte modificato e superato da interventi legislativi e della Corte costituzionale, ma alla fine Schlein si è arresa alle sirene del leader della Cgil Maurizio Landini, il padre di questa guerra e dunque il primo responsabile della sconfitta. «Si poteva immaginare - spiega al Giornale l'ex segretario della Cisl Luigi Sbarra - una resa più che onorevole delle opposizioni intorno al 40 per cento, forse qualcosa in più. Ma questo è un risultato disastroso che segnerà il futuro di Elly Schlein. D'altra parte questa era una scommessa tutta all'indietro, oggi il quadro è cambiato, il lavoro cresce, il nuovo articolo 18 è la formazione e il futuro è semmai la nuova legge che finalmente applica l'articolo 46 della Costituzione e spinge i lavoratori a partecipare alla vita dell'impresa». Tutte considerazioni che la parte moderata, più pragmatica e aperta del Pd, condivide, ma tutte riflessioni accantonate per dare la spallata a Giorgia Meloni.
Ora il colpo torna indietro, anche se Schlein ha ancora saldamente in mano il partito. Lei, la segretaria, rilancia e difende con le unghie e i denti la sfida finita male: «Grazie alle oltre 14 milioni di persone che hanno deciso di votare e a tutti coloro che si sono mobilitati per far contare il voto dei cittadini. Peccato per il mancato raggiungimento del quorum - sottolinea Schlein - sapevamo che sarebbe stato difficile arrivarci, ma i referendum toccavano questioni che riguardano la vita di milioni di persone ed era giusto spendersi nella campagna, a fianco dei promotori». Nessuna autocritica, dunque. Ma semmai un altro affondo contro Palazzo Chigi: «Hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022». Intestandosi tutti gli elettori e sommando sia chi ha votato «sì» che «no». Quindi Elly fissa il prossimo traguardo: «Ne riparleremo alle prossime politiche». Sarà, certo questo è un paese dalla campagna elettorale permanente, ma paragonare i voti di oggi con quelli delle politiche del 2022 è come mettere insieme le mele e le pere.
Così la minoranza fa sentire tutta la propria delusione per la partita che i riformisti non avrebbero voluto giocare. «Purtroppo - spiega Picierno - questo è un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre». Picierno, che molti considerano la possibile alternativa centrista a Schlein, non si ferma qui: «Fuori dalla nostra bolla c'è un Paese che vuole futuro e non rese dei conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri». Insomma, la vicepresidente del Parlamento europeo usa quasi le stesse parole di Sbarra e di tanti altri che avrebbero voluto tagliare il cordone ombelicale con la Cgil e che alle urne hanno scelto soluzioni diverse da quelle predicate dalla segretaria del partito. Picierno aveva rifiutato tre schede su cinque e come lei altri avevano abbandonato l'ortodossia.
Elisabetta Gualmini, europarlamentare, riassume tutto con un giudizio che è una foto: «Questo referendum doveva correggere gli errori del vecchio Pd, si è rivelato un boomerang». Nel Pd potrebbe cominciare un altro match.