Coronavirus

Scienziati e politici, dubbi sui tamponi. Ma gli infermieri adesso li chiedono

Non c'è nulla di deciso, ma l'aver solo ipotizzato la possibilità di introdurre l'obbligo di tampone per i vaccinati per entrare nei luoghi affollati - forse anche in cinema, teatri e stadi - ha scatenato una vivace polemica tra favorevoli e contrari

Scienziati e politici, dubbi sui tamponi. Ma gli infermieri adesso li chiedono

Non c'è nulla di deciso, ma l'aver solo ipotizzato la possibilità di introdurre l'obbligo di tampone per i vaccinati per entrare nei luoghi affollati - forse anche in cinema, teatri e stadi - ha scatenato una vivace polemica tra favorevoli e contrari. Non solo tra i politici, ma all'interno della stessa comunità scientifica.

Se Guido Rasi, consulente del commissario Figliuolo, è più che mai convinto che con l'arrivo della variante Omicron il green pass da solo non basti più e in certe situazioni sia meglio ricorrere anche ai test, altri scienziati la pensano diversamente. Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, trova una «stupidaggine» fare il tampone ai vaccinati. «Perché non si considera che l'antigenico ha una sensibilità molto bassa e quindi non aggiunge niente e perché una misura simile disincentiva dall'aderire alla vaccinazione. Se io sono una persona che ha fatto tre dosi e per andare al cinema devo farmi anche il test, piuttosto rinuncio al cinema. E se ancora devo vaccinarmi, non lo faccio», dice. Anche per l'epidemiologa Antonella Viola un tale provvedimento non farebbe che minare la credibilità della vaccinazione. Dello stesso avviso il virologo Andrea Crisanti, che ritiene molto più efficace per un vaccinato con tre dosi l'uso di una mascherina Ffp2 per partecipare ad eventi con molte persone o andare al cinema. Matteo Bassetti, primario di Malattie infettive all'ospedale San Martino di Genova, definisce un «provvedimento cosmetico» quello dei tamponi ai vaccinati. Ma c'è anche chi, come il virologo Fabrizio Pregliasco, non lo considera affatto una «sconfitta del vaccino, ma una misura di massima cautela che non ne sminuisce la funzione protettiva». Una misura che anche per Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata, «può avere una ragione d'essere, va però spiegato perché non è una dichiarazione di inefficacia del vaccino ma una considerazione sul fatto che protegge dalla malattia, anche severa, ma non al 100% dalla possibilità di infettarsi». Sull'efficacia dei test agli immunizzati si interroga anche la politica. Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, è «contrarissimo»: «La via maestra è il vaccino». Sulla stessa lunghezza d'onda il responsabile Enti locali del Pd, Francesco Boccia: «In questo momento è più giusto ipotizzare la vaccinazione obbligatoria. Altrimenti sarebbe un colpo a chi, vaccinandosi, ha protetto se stesso e anche gli altri». Il sindaco di Milano Giuseppe Sala è perplesso: «Stiamo spingendo tanto sul vaccino e sul green pass, se poi serve anche il tampone, è qualcosa che faccio fatica a capire». Per il leader della Lega Matteo «la comunità scientifica dovrebbe mettersi d'accordo se il tampone serve o non serve, perché fino alla settimana scorsa non serviva».

Ad invocare più test sono invece gli operatori sanitari, tra i quali stanno salendo vertiginosamente i contagi, quasi 5mila negli ultimi 30 giorni: secondo l'ultimo report 156 ogni 24 ore, 128 dei quali sono infermieri. Il sindacato infermieri Nursing Up sollecita le Regioni ad adottare il criterio del Veneto, che ha portato ad ogni 4 giorni la frequenza dei tamponi, e a monitorarne costantemente il livello degli anticorpi.

Il governatore Zingaretti, nell'ordinanza che prevede l'obbligo di mascherine all'aperto nel Lazio, ha disposto lo screening del personale sanitario e sociosanitario con test al massimo ogni 10 giorni.

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