C ome cambiano in fretta gli equilibri e gli scenari, nei rapporti tra politica e giustizia. Esisteva fino a una manciata di settimane fa un asse di ferro che sembrava destinato a dettare le regole dei processi: era l'asse che collegava il Movimento 5 Stelle e il suo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ai massimi organi rappresentativi delle toghe, ovvero il Consiglio superiore della magistratura e l'Associazione nazionale magistrati. La visione manettara - per usare un temine brutale ma chiaro - della giustizia cara ai grillini, tradotta in seno al Csm da Piercamillo Davigo e dalla sua corrente, sembrava avere ridotto all'impotenza non solo le voci di dissenso più ovvie, quelle degli avvocati e dei partiti di tradizione garantista, ma anche chi all'interno della magistratura faticava a riconoscersi nell'idea che «non ci sono innocenti». E alla fine di novembre il congresso dell'Anm a Genova aveva sancito l'appiattimento del sindacato dei magistrati sulle posizioni davighiane e grilline. All'interno del Csm, la corrente di Davigo - con l'elezione di un altro magistrato icona dei 5 stelle, il palermitano Antonino Di Matteo - si preparava a occupare quasi militarmente la ribalta.
Invece... La catastrofe elettorale dei grillini in Emilia Romagna e in Calabria segna il punto di svolta. Molti magistrati che si erano fatti sedurre dalle sirene dei Di Maio e dei Bonafede si rendono conto che puntare sui grillini per tutelare la categoria è stata una scelta miope. E, calcoli venali a parte, riprende voce chi dentro la magistratura è rimasto attaccato a vecchi principi quali la presunzione di innocenza. Tra venerdì e ieri le due cerimonie più importanti di inaugurazione dell'anno giudiziario, a Roma e a Milano, hanno visto andare in scena una sconfessione senza precedenti dell'operato di un governo in carica da parte dei massimi esponenti della magistratura.
Ci sarebbe da ragionare sul fatto che a stroncare la «riforma Bonafede» della prescrizione, ovvero il provvedimento - feticcio dell'asse tra 5 Stelle e Davigo, siano stati due magistrati come Giovanni Mammone e Roberto Alfonso, entrambi esponenti della magistratura più moderata per non dire conservatrice. E sul fatto che a difendere una legge considerata incostituzionale da giuristi di questo livello sia invece la sinistra della magistratura, quella nata mezzo secolo fa in nome del garantismo: e che anche ieri, nell'intervento del leader dell'Anm Luca Poniz, non mostra alcuna resipiscenza nell'appoggio incondizionato a Bonafede.
La sostanza è che, grazie anche all'inusitato coraggio di parte dell'avvocatura, l'asse giustizialista scricchiola. E questo dà voce anche alla parte finora più timida della politica, con il segretario Pd Nicola Zingaretti che ieri a Sky Tg24 dice che «non si può stare sotto processo a vita», che è esattamente ciò che la riforma Bonafede rende invece possibile.
Da qui al 24 febbraio, quando arriverà in aula alla Camera il disegno di legge del centrodestra per azzerare la riforma Bonafede, molto può ancora succedere. E chissà che di questo mutato clima non possa restare vittima proprio Davigo, finora determinato a temersi il suo posto nel Csm anche dopo il 20 ottobre, quando, compiuti i settant'anni, dovrebbe andare in pensione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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