Scoppia la guerra santa Bolsonaro-Lula. "Chiuderà le chiese". "Lui è il diavolo"

Si accendono subito i toni della campagna per le presidenziali di ottobre. I due candidati si sfidano per il voto degli evangelici

Scoppia la guerra santa Bolsonaro-Lula. "Chiuderà le chiese". "Lui è il diavolo"

«È posseduto dal diavolo». «Chiuderà le vostre chiese». È iniziata così l'altro ieri la campagna elettorale in Brasile e, a vedere le dichiarazioni di Lula, che accusa Bolsonaro di essere addirittura Belzebù reincarnato, e il Trump dei Caraibi che ammonisce gli elettori sui rischi che correrebbero se vincesse l'ex sindacalista galeotto, possiamo ufficialmente dichiarare aperta la prima «guerra santa» in terra brasilis.

La religione e una buona dose di realismo magico invadono dunque il voto presidenziale dei due candidati favoriti per vincere il primo turno del 2 ottobre anche se, visto l'ultimo sondaggio pubblicato ieri, lo scontro finale che deciderà i destini dei prossimi 4 anni del Brasile, ce lo potremo «gustare» solo il 30 ottobre. Secondo il sondaggio uscito ieri di PoderData, che solitamente ci prende, al primo turno Lula oggi otterrebbe il 44 per cento contro il 37 di Bolsonaro e, dunque, sarebbe inevitabile un ballottaggio. Di certo nei prossimi due mesi ne vedremo di tutti i colori anche perché, al momento, l'unica cosa che accomuna Luladrão - come lo chiamano i bolsonaristi per le sue condanne per corruzione - e «O Genocida» - così ha anche definito Lula il suo avversario l'altro ieri - è il giubbotto antiproiettile indossato dai entrambi. Il timore è infatti quello di un attentato.

Bolsonaro ha scelto per il suo primo comizio ufficiale, l'altro ieri, la città di Juiz de Fora, dove l'8 settembre 2018 fu accoltellato quasi a morte da Adelio Bispo, un ex tesserato del PSOL, partito di estrema sinistra. Un po' di realismo magico il suo, al pari di Lula che, invece, ha tenuto il suo primo discorso ufficiale fuori dalla Volkswagen a São Bernardo, la città dove ha vissuto per quattro decenni e, soprattutto, la fabbrica dove ha costruito la sua traiettoria politica come sindacalista. Oltre al simbolismo, la religione è stata però il leitmotiv dei primi comizi di Lula e Bolsonaro e il motivo è semplice. I brasiliani sono il popolo meno politicizzato dell'America latina, essendo discendenti non degli spagnoli ma dei più miti portoghesi, ma sono i più influenzabili nelle loro scelte elettorali da questioni morali quali l'aborto, la lotta contro la corruzione e la libertà di espressione. Una tendenza assai poco ideologica che è dimostrata dall'alternanza dei presidenti eletti da quando, nel 1985, è tornata la democrazia. Escludendo Tancredo Neves, che non fu scelto dal popolo ma dal Parlamento, i brasiliani quattro anni fa hanno scelto quanto di più simile a Trump ci fosse in lizza, ovvero Bolsonaro, dopo avere optato, nell'ordine, per il «cacciatore di marajás» Collor del Mello (che finì poi cacciato), per l'elitario sociologo Fernando Henrique Cardoso, per il popolano Lula e, infine, per la sua prescelta, ovvero l'ex guerrigliera Dilma.

Nonostante la rimonta di Bolsonaro che ha dimezzato lo svantaggio rispetto a qualche mese fa, il favorito rimane Lula.

Paradossalmente i problemi più grossi per lui sono rappresentati da suoi alleati come Erminia Maricato, architetto e urbanista che all'Università di São Paulo, dove insegna, lunedì scorso ha definito le «periferie, dominate da chiese che fanno parte di una vera mafia». Lula che era al suo fianco ha strabuzzato gli occhi, mentre Bolsonaro si sfregava le mani, approfittandone per «ammonire» che se lui perde l'altro «chiuderà le chiese».

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