Sul controllo del Corriere della Sera scoppia l'ennesima guerra. La prima risposta all'offerta lanciata venerdì sera da Urbano Cairo per acquisire Rcs è arrivata subito: Mediobanca non aderirà. Non è una posizione ufficiale, ma è quanto filtrava ieri dalle persone più vicine ad Alberto Nagel, l'amministratore delegato della banca che detiene il 9,9% di Rcs. E che dunque, dopo l'annunciato disimpegno della Fiat, rappresenta l'azionista cardine del gruppo editoriale che controlla il Corriere della Sera. Il «no» di Mediobanca deriva da una immediata valutazione dell'offerta, giudicata, secondo fonti vicine alla banca, «non congrua né per l'equity, né per il debito». Traduzione: Cairo offre troppo poco e pone condizioni non vantaggiose sui crediti delle banche.
La posizione di Mediobanca risulta condivisa da un nocciolo duro di grandi azionisti storici a cui appartengono Marco Tronchetti Provera, numero uno della Pirelli, con il 4,4% del capitale di Rcs, e il gruppo Unipol, che ha ereditato la quota del 4,6% dai Ligresti. È data per analoga anche la posizione di Diego Della Valle, che ha in proprio il 7,3%. I quattro si sono sentiti e consultati. Sembra addirittura abbiano partecipato a un incontro per studiare contromosse. Ma mancano conferme. Di certo sono arrivati a condividere sia la posizione di Mediobanca sull'inadeguatezza dell'offerta, sia una forte perplessità sulla valenza industriale del consolidamento di Rcs in Cairo Communication, gruppo che vale circa la metà della Rizzoli. I quattro arrivano insieme al 26,2% del capitale. A questi potrebbe aggiungersi il 2,7% di Paolo Rotelli, per un totale che arriva al 30 per cento.
Per qualcuno del «gruppo Mediobanca», pur se nessuno lo dice ed alcuni lo negano, il «no» a Cairo appare anche di «sistema»: dà fastidio che un imprenditore fuori dai giochi osi sfidare quello che resta del salotto buono e il controllo del sacro Corriere con un'operazione non concordata. Non ostile, ma di mercato, appresa da Piazzetta Cuccia contemporaneamente al resto del mondo. Lesa maestà, o giù di lì. Anche perché, dietro alle posizioni ufficiali, la guerra è ben delineata: con Cairo c'è Intesa, la banca storicamente guidata da Gianni Bazoli, padre putativo dello stesso Corriere, che ha il 4,1% di Rcs, ma soprattutto una fetta decisiva dei 500 milioni di crediti con il gruppo. E che può contare, su questo fronte, anche sui crediti di Ubi, banca solitamente vicina a Bazoli. Intesa e Ubi, insieme, valgono circa 350 milioni di debiti. Mentre Mediobanca ha poco o niente, ma con il socio Unicredit arriva intorno a quota 120 milioni. Gli altri istituti maggiormente esposti, Bipiemme e Bnl, sono «sul mercato».
C'è poi che l'offerta di Cairo non sembra così «incongrua». Prima di tutto perché, fino a ieri sera, agli addetti ai lavori il gruppo Rcs non appariva quel gioiellino che ora i soci forti non vogliono svendere. Due-tre numeretti impietosi: il titolo Rcs, che dopo il balzo di venerdì vale 0,45 euro, è sotto del 90% negli ultimi tre anni, del 96% negli ultimi 10; questo al netto di circa mezzo miliardo di nuovo capitale tra aumenti e operazioni sulle risparmio; di un altro mezzo miliardo di vendite (dal gruppo Flammarion, a via Solferino, alla Rcs Libri); e di un ulteriore mezzo miliardo di debito residuo con le banche. Il tutto mentre, negli ultimi cinque anni, il bilancio ha accumulato ben 1,25 miliardi di perdite. A fronte di tali evidenze, l'Ops di Cairo (offerta pubblica di scambio), a valori di mercato valorizza Rcs un po' meno di 700 milioni: è l'equivalente dell'operazione che propone agli azionisti Rcs di essere pagati 0,12 azioni Cairo Communication per ogni titolo, ovvero 1 azione Cairo ogni 8,33 titoli Rcs. Si tratta di una valutazione pari a 275 milioni, con un premio del 27% rispetto ai valori di venerdì. Tale valore, sommato al debito di 490 milioni e meno il flusso da 90 milioni in arrivo da Mondadori per Rcs Libri, fa circa 675 milioni. Più o meno il doppio del valore d'impresa di un gruppo editoriale come l'Espresso, con margini e andamenti di tutt'altra risma. In altri termini l'Ops di Cairo su Rcs può apparire un'offerta fin generosa, invece che incongrua. Dipende da cosa hanno in mente gli altri soci. Che però sono gli stessi che hanno accompagnato il gruppo Rcs fino a questo punto. E che potevano fare anch'essi un'offerta come quella di Cairo.
Cosa succederà ora? Sulla carta Cairo vince se ottiene il 50% più un'azione di Rcs partendo dal suo 4,7% più il 4,1 di Intesa. Totale 8,8%.
Cioè, gli manca circa il 41,2%, da cercarsi sul mercato dove c'è dunque poco più del 60%, compresa la quota Fca (Fiat): un 16,7% che di qui a pochi giorni (l'assemblea di venerdì prossimo) finirà proquota in Borsa, ai soci Fca, come già deciso in sede dell'annunciata fusione Repubblica-Stampa. In particolare, fonti vicine al gruppo Agnelli ricordano che anche il 5% loro spettante finirà sul mercato e non a un singolo acquirente. La guerra è partita. A suon di azioni. Ma anche di crediti.
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