Coronavirus

"Lo scudo? Così non va No a indagini sui medici"

Il presidente della categoria: "È solo un primo passo, non ci coinvolgano nell'azione penale"

"Lo scudo? Così non va No a indagini sui medici"

Da una parte la delusione, dall'altra l'aspettativa e la speranza che qualcosa possa ancora cambiare. I medici italiani non sono soddisfatti dello scudo penale introdotto con il nuovo dl Covid al vaglio del Consiglio dei ministri. Lo ritengono insufficiente per mettere al riparo la categoria in prima linea contro la pandemia e chiedono che l'iter di conversione in legge possa portare a maggiori garanzie. Per questo alcuni lo hanno ribattezzato «scudetto penale». Ma «se fosse uno scudetto, nel gergo calcistico significherebbe che è stato una vittoria. Invece è solo un primo passo avanti». A spiegarlo è Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri.

Da tempo chiedete maggiori garanzie contro eventuali problemi di ordine penale nello svolgimento del vostro lavoro. Questa novità cosa cambia?

«Siamo una delle categorie più esposte e più colpite dal Covid. Abbiamo dato tanto e ci siamo trovati di fronte a enormi difficoltà. Disfunzioni, tagli alla sanità, blocco del turn over, sovraccarico di lavoro. Siamo in guerra contro la pandemia, ci battiamo contro una malattia che conosciamo ancora troppo poco. Per questo siamo in grado di gestire le complicanze, ma non di evitarle del tutto».

Questo cosa vuol dire?

«Che operiamo in una dimensione di rischio, dal momento che non abbiamo protocolli scientifici certi ai quali agganciarci. Questo ci espone a problemi di natura penale».

Che pensate dello scudo penale?

«É un piccolo passo in avanti che però non ci tutela del tutto. Abbiamo chiesto uno strumento che esentasse i medici da responsabilità penali e civili in questa fase, per poter lavorare in modo tranquillo e adeguato in una situazione straordinaria. La misura introdotta non ci soddisfa perché introduce la non punibilità. Quello che chiediamo è il non coinvolgimento nell'azione penale. Che è una cosa diversa».

Vi aspettate anche altro?

«Chiediamo che il non coinvolgimento sia esteso ai medici che operano nella cura e nell'assistenza dei pazienti Covid. Non solo a quelli in prima linea nella prevenzione, cioè nelle vaccinazioni».

Comunque è un primo passo...

«Lo è, perché il governo ha formalizzato qualcosa che è nei fatti: le complicanze causate dal vaccino dipendono dal farmaco. Non dal possibile operato dei medici».

Qualcuno dice che potrebbe innescarsi una sorta di pandemia giudiziaria, con una pioggia di denunce. Ravvisa questo pericolo?

«Assolutamente sì. Già oggi ci sono decine di studi legali che spingono i clienti a rivalersi sulla nostra categoria in caso di conseguenze avverse. Questo ci fa male dal punto di vista umano, perché non esiste medico al mondo che possa volere il male di una persona. E crea una situazione di ansia professionale. Una causa penale coinvolge non solo il professionista, ma tutta la sua famiglia. E determina costi enormi. Mentre almeno l'80% dei processi si conclude in favore dell'imputato».

Intanto la vostra categoria continua a rischiare la vita...

«Anche oggi (ieri per chi legge, ndr) contiamo tre morti per Covid. Il bilancio totale è di 348. Questo perché non tutti i medici sono vaccinati. Ci sono liberi professionisti, magari in pensione, che ancora aspettano. Il vaccino ha comunque ridotto la mortalità del 90%».

Ritiene giusto l'obbligo vaccinale per i sanitari?

«Sì, è uno strumento che mette al sicuro tutti.

Anche se i medici no vax sono una percentuale minima».

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