Il ministro dell'Economia nei giorni scorsi ha provato a spostare l'attenzione su quanto sia importante attuare le leggi. È fondamentale, ha spiegato nel suo primo intervento dopo la pausa estiva, che le politiche vengano «implementate». Le leggi devono essere attuate attraverso decreti. Ma, prima ancora le promesse vanno tradotte in leggi con relative coperture. Pier Carlo Padoan si è fatto portavoce di un timore sempre più diffuso in Europa, cioè che in Italia si parli molto ma si faccia molto meno. Si mettano in campo riforme e misura, anche radicali e centrate, ma poi restano al palo o passano in una versione depotenziata.
Il premier Matteo Renzi non è imprudente, ma non è un'eccezione a questo vizio molto italiano. L'abolizione di Imu e Tasi sulla prima casa, annunciata nei giorni scorsi, è notoriamente un passo più lungo della gamba. Nel senso che non c'è per il momento la copertura. La riduzione delle tasse da 50 miliardi in tre anni è un piano che esiste solo sulla carta. La direzione che abbiamo preso, a più di un anno dall'insediamento del rottamatore, è quella consueta. Cresce la pressione fiscale (quest'anno secondo Unimpresa si attesterà al 43,5% (stesso livello del 2014), nel 2016 e nel 2017 salirà al 44,1%, nel 2018 si fermerà al 44%. La riduzione delle tasse da 18 miliardi che il premier dà già per attuata non appare nemmeno nelle statistiche ufficiali della Banca d'Italia. Per contro le tax expenditures , cioè la giungla di agevolazioni fiscali che contribuisce a rendere complessa e fragile la finanza pubblica italiana, restano lì. Dovevano calare e invece sono cresciute. Niente di nuovo, quindi. Fare cambiare direzione al Paese (il motto di Renzi era «cambia verso») è più complicato del previsto.
Se ne sono accorti gli italiani quando l'abolizione del Senato è diventata una riforma che lascia Palazzo Madama lì dove è. E quella delle Province è diventata, invece di un risparmio, una misura che costa.
Va meglio sulle micro misure, annunciate e attuate, come gli ottanta euro in busta paga. Salvo poi non riuscire, come aveva annunciato il premier, ad estendere la misura ai pensionati e agli incapienti. Difficilissimo toccare la previdenza. Non molto tempo fa Renzi fece capire che voleva rendere più flessibile i requisiti per la pensione, in particolare per le donne. E fece l'esempio delle nonne che voglio restare con i nipotini. Il progetto resta per ora un sogno. Forse andrà nel decreto ad hoc sulle pensioni che dovrebbe affiancare la legge di Stabilità.
Tutto dipende dalle coperture, come ha sottolineato lo stesso Padoan, per mettere un freno ad eventuali ulteriori annunci e promesse di fine agosto. Ma anche sulle coperture l'annuncite si fa sentire. Ad esempio assicurando la disponibilità di Bruxelles ad accettare una flessibilità per 10 miliardi sul deficit. Tutto da vedere, in realtà.
Ma non ci sono solo le questioni economiche. A volte l'annuncio disatteso è il risultato di un impulso di rabbia. Viene in mente quando la Francia cominciò a rimandare indietro i richiedenti asilo che cercavano di lasciare l'Italia e Renzi disse di avere un «piano B». Atteggiamento bellicoso che sembrava far presagire qualche rappresaglia contro i Paesi che se ne fregano dell'Italia in prima linea sul Mediterraneo. Alla fine la controffensiva si rivelò un «facciamo da soli» dal quale l'Italia ha tratto solo svantaggi.
Più che sulle promesse non mantenute, il governo si sta specializzando su quelle attuate a metà. La rivoluzione della scuola è arrivata azzoppata, anche grazie a una mediazione con i sindacati che, al di là dei toni da battaglia contro le confederazioni, non manca mai. Depotenziato il preside, che doveva diventare un manager con ampia autonomia. Ridimensionato anche il valore della stabilizzazione. La mobilità degli insegnanti va in soffitta. C'è quindi da aspettarsi che presto torneranno buchi nell'organico e quindi altre leve di supplenti e precari.
di Antonio Signorini
Roma
È la percentuale di italiani che non nutrono fiducia nel governo Renzi secondo l'ultimo sondaggio Ixè
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