Roma - La svolta hard del dibattito a sinistra la ha impressa Nichi Vendola, il leader di Sel. Non gli è piaciuta la battuta liquidatoria di Matteo Renzi contro la «sinistra masochista», quella che gode a perdere e a far perdere. In verità il premier non ce l'aveva in particolare con lui, di cui probabilmente neppure ricordava l'esistenza, quanto piuttosto con gli oltranzisti della minoranza Pd. Ma all'accusa di masochismo il leader di Sel si è inalberato, e la sua replica finirà negli annali delle «cinquanta sfumature di sinistra»: intanto, spiega, quello di Renzi è «il suo solito vizietto, l'autoritarismo». Poi l'affondo: «La sinistra di Renzi è socialmente sadica. E noi continueremo a rappresentare la sinistra masochista perché non rinunciamo a pensare che il nostro compito sia difendere i diritti».
Di certo, l'ultima trincea della «sinistra masochista» è oggi quella della scuola: i nemici di Renzi, dentro e intorno al Pd, tifano perché la guerriglia sindacale contro la riforma del governo riesca a mettere in difficoltà serie l'esecutivo e a far perdere a Renzi quella fascia cruciale di consenso che il centrosinistra ha sempre avuto nel pubblico impiego, e nella scuola in particolare. Il premier non sottovaluta certo il pericolo, tanto meno alla vigilia delle Regionali, ma è altresì convinto che proprio il sindacato, soprattutto agitando il ricatto del blocco degli scrutini, stia facendo un clamoroso autogol, soprattutto agitando il ricatto del blocco degli scrutinii, che spiega ai suoi «finirà per dividere il fronte sindacale, dove la Cisl non può certo abdicare al suo riformismo per inseguire gli ultrà, e per alienare alla battaglia anti-riforma le simpatie dell'opinione pubblica». Tant'è vero che la leader cislina Anna Maria Furlan ha già innestato la retromarcia, davanti all'inasprirsi delle posizioni sindacali della scuola: «Il blocco degli scrutinii creerebbe solo disagi alle famiglie e ai ragazzi». Il problema tuttavia è di notevole entità per un governo che della «buona scuola» ha fatto il suo cavallo di battaglia. Per questo ieri il premier, prima di salire al Colle per fare il punto della situazione in un «ampio giro d'orizzonte» con Mattarella, ha chiesto ai suoi, cogliendoli un po' alla sprovvista, di trovargli lavagna e gessetti colorati, e ha deciso di scendere in campo in prima persona per dare una sterzata ad una campagna che rischia di deturpare l'immagine dell'esecutivo. Diciotto minuti di video, diffusi sul sito di Palazzo Chigi, per illustrare - con tanto di titoli e freccette - i punti salienti del progetto, riconoscendo che ci sono stati «errori di comunicazione», ma soprattutto per tenere il punto, sfidando la rivolta dei sindacati: «Il merito nella scuola non è una parolaccia. Basta con il “nessuno mi può giudicare”». I presidi non sono chiamati a fare «gli sceriffi», ma ad essere «responsabili di una comunità». Il premier si dice «pronto al dialogo», assicura che non ci sarà voto di fiducia sul provvedimento (almeno alla Camera) ma respinge gli «slogan ideologici» e attacca duramente le rappresaglie dei sindacati: «Quando si chiede ai ragazzi di boicottare le prove Invalsi o si minaccia il blocco degli scrutini, non si sta facendo un servizio alla scuola né ai ragazzi stessi». No ai «boicottaggi», insomma.
Basterà a cambiare segno alla discussione? Il premier, che ha incassato il primo successo alla Camera dove le pregiudiziali di incostituzionalità sulla riforma sono state bocciate, si è rivolto anche agli insegnanti, consapevole che una buona percentuale di volenterosi non ha intenzione di inseguire la Camusso in trincea: ai prof ha indirizzato una lunga lettera aperta a difesa della «buona scuola» in cui scrive fra l'altro «con tutti i nostri limiti abbiamo l'occasione di costruire un futuro di opportunità per i nostri figli. Sciuparla sarebbe un errore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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