Le scuse di Lotito in sinagoga Gli ultras: «Sfottò non è reato»

Il presidente laziale: no a ogni forma di antisemitismo Gli «Irriducibili» insistono. 15 identificati, c'è un 13enne

D opo l'ondata di indignazione che ha travolto la Lazio e i suoi tifosi, infangati dagli ultras che domenica sera hanno tappezzato le vetrate della curva sud dell'Olimpico con adesivi razzisti e antisemiti, ieri è stato il giorno delle scuse. Del presidente Lotito, almeno, che mantenendo la promessa fatta lunedì è andato alla sinagoga di Roma con i calciatori Wallace e Felipe Anderson e una corona di fiori come segno di rispetto per le vittime dell'antisemitismo. Ad accoglierlo non c'era nessun esponente di spicco della comunità ebraica, che forse avrebbe voluto dalla Lazio un'assunzione diretta di responsabilità. Lotito invece, come già tante altre volte in passato, ha scelto la strada della dissociazione.

«Non accetto strumentalizzazioni sull'apertura della curva sud con biglietti a un euro - ha detto il patron laziale -. Noi oggi siamo qui per dare la nostra forma di dissenso ad ogni forma di antisemitismo e razzismo, la maggior parte della nostra tifoseria condivide questi valori. Annuncio ufficialmente che la Lazio promuoverà un'iniziativa annuale per 250 giovani, organizzeremo un viaggio ad Auschwitz. Combatteremo come abbiamo sempre fatto questi fenomeni, da quando sono presidente io non sono più comparsi né striscioni, né cori razzisti o antisemiti e xenofobi». Questo è vero in parte. Sicuramente ci sono stati periodi, soprattutto ai tempi di Cragnotti, nei quali in curva nord una certa politica era più visibile (tutti ricorderanno l'orribile striscione «Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case» esposto durante un derby del 1999), ma anche ultimamente, sia in campionato che nelle coppe europee, non sono mancate le squalifiche per intemperanze verbali contro i giocatori di colore. L'ultima appena un paio di settimane fa, due giornate di cui una ancora da scontare contro l'Udinese il 5 novembre, sempre che la sanzione non venga inasprita dopo quel che è successo a Lazio-Cagliari.

Su quello che è accaduto ci sono due inchieste aperte, una della procura di Roma (il capo d'accusa è istigazione all'odio razziale) e una della Figc. Grazie alle telecamere a circuito chiuso sono stati già identificati quindici presunti responsabili, di cui due minori (il più piccolo ha 13 anni), immortalati mentre attaccavano gli adesivi su una vetrata e nei bagni: rischiano la denuncia e un Daspo fino a 8 anni, mentre le indagini proseguono per identificare altri eventuali soggetti coinvolti. Sarà interessante soprattutto capire se si tratta «solo» di uno stupido gesto di spregio, insozzare la curva dei rivali romanisti a meno di un mese dal derby, o se invece si è tratta di una guerra interna al tifo organizzato. Dopo una decina d'anni di muro contro muro con Lotito e quasi due di boicottaggio dell'Olimpico per protesta contro la Tessera del Tifoso, da marzo gli Irriducibili, gruppo leader della curva nord, sono tornati allo stadio e soprattutto si sono molto riavvicinati alle posizioni della società. Artefici di questo disgelo sono stati i capi storici, ma non è da escludere che questa presa di posizione sia risultata sgradita alle nuove e più giovani leve, e che quindi il tutto sia stato premeditato con l'obiettivo di minare la «pax» laziale appena raggiunta.

«Non ci dissociamo da ciò che non abbiamo fatto - hanno detto gli Irriducibili anche se in mezzo agli adesivi incriminati ce n'erano alcuni con il nome del gruppo -, e poi gli stessi adesivi ce li ritroviamo anche nella nostra curva ma nessuno s'indigna per questo.

Si tratta di scherno e sfottò, anche il tribunale ha stabilito che non è reato apostrofare un tifoso avversario accusandolo di appartenere ad altra religione» (si riferiscono al proscioglimento di due tifosi laziali che a Lazio-Catania del 2013 avevano intonato il coro «giallorosso ebreo»). Parole surreali. Meglio chiudere con quelle di Simone Inzaghi, secondo cui «L'episodio è riconducibile a poche mele marce, ma è giusto che venga fermamente condannato».

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