«Sento dire che forse non sarà possibile estrarre il Dna dai reperti... mah, lo estraggono dai mammut preistorici... se davvero sarà questa la conclusione, vorrà dire che il muro di gomma sta ancora lì, ben saldo». Sono passati cinque giorni, dal ritrovamento nella Nunziatura apostolica di via Po, a Roma, e ancora il responso delle analisi scientifiche non arriva, ancora non si sa se davvero quei poveri resti appartengano a Emanuela Orlandi, sparita a quindici anni il 22 giugno 1983, o a Mirella Gregori, sua coetanea, svanita quaranta giorni prima. Ma intanto la riapertura del caso fa irruzione in quella manciata di uomini che in tutti questi anni hanno dovuto, per lavoro, occuparsi della inestricabile crime-story in salsa vaticana. Ognuno di essi vede riaffiorare ricordi remoti, tornare a galla vecchi dubbi.
A parlare col Giornale è uno di loro. È un uomo dello Stato, che del mistero di Emanuela Orlandi dovette occuparsi a lungo, alla fine degli anni Novanta. Pochi conoscono come lui la verità processuale, la differenza tra le chiacchiere dietrologiche e la sostanza degli accertamenti. Ed è convinto di una verità raggelante.
«Quando, la sera di martedì, è apparsa la notizia del ritrovamento, non mi ha lasciato stupito. Per motivi che non conosco, ogni tot anni l'affare Orlandi torna a galla, ciclicamente: è un dato di fatto. Da troppo tempo non se ne parlava più». Quindi pensa a una nuova bufala? «Non lo so, staremo a vedere, ammesso che l'esame del Dna si riesca a fare. Se quelle ossa non sono di nessuna delle ragazze, anche questa puntata andrà inserita nell'elenco dei boatos che ogni tanto vengono fatti esplodere»
E se invece i resti sono della Orlandi, o della Gregori? «Allora sarebbe una svolta vera, che finalmente farebbe piazza pulita di tutti gli scenari stranieri, a base di servizi segreti, di lupi grigi e quant'altro. Se io ti rapisco un figlio, non vengo a seppellirlo nella tua cantina. Se le ossa sono di una delle ragazze, ciò proverebbe che l'intera vicenda è una vicenda domestica, nata e gestita tutta all'interno della Città del Vaticano».
«A quel punto - continua l'uomo dello Stato - molti tasselli andrebbero a posto. Avrebbe un senso, per esempio, l'ostruzionismo altrimenti inspiegabile che il Vaticano ha sempre opposto alle indagini italiane. Quando, tempo addietro, padre Lombardi affermò che il Vaticano aveva sempre collaborato, restai perplesso e lo sono ancora. Tre rogatorie, tutte con risposte assolutamente insoddisfacenti. In particolare quella per conoscere le registrazioni delle telefonate tra il cardinale Agostino Casaroli e l'americano che si nascondeva dietro il codice 158... alla fine alla magistratura italiana venne data solo una cassetta C60, con la voce della suorina del centralino: poi si sente un roboante Pronto! e la registrazione finisce. O almeno la parte che ci fu consegnata». Dietro il codice 158, va ricordato, c'era un uomo con accento americano ma che padroneggiava il latino meglio dell'italiano.
Nelle ultime ore, anche la madre di Emanuela Orlandi ha avuto parole quasi di rassegnazione, esprimendo il desiderio di avere almeno una tomba su cui piangere. Lei, dopo 35 anni, ha una sua verità? «Sì. Sono convinto che non ci fu niente di politico, non c'entrarono la Magliana o i servizi stranieri o Marcinkus. Il caso di Emanuela Orlandi fu una storia molto più prosaica e ben poco nobile. E anche la scomparsa di Mirella Gregori fa parte delle stesse dinamiche, ci sono troppi punti di contatto per rendere verosimile una coincidenza. Tutti gli sviluppi successivi sembrano finalizzati a proteggere chi le ha fatte sparire, e chi più in alto era coinvolto in quelle storie torbide». Eppure gli intrecci con la Magliana riaffiorano spesso...
«Se la Magliana, o più precisamente De Pedis, ebbe un ruolo, fu solo nell'occuparsi di fare sparire i corpi. La sepoltura di De Pedis nella basilica di Sant'Apollinare potrebbe essere un ringraziamento per il servigio reso».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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