di Andrea Cuomo
Si non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum. Più o meno: se non puoi batterli unisciti a loro. Lo diceva Giulio Cesare, uno che di strategie qualcosina ne capiva. È un po' quello che pensano tutti coloro che hanno figli ragazzini, anche coloro che in latino avevano 4. Combattere contro lo strapotere dei dispositivi elettronici nella vita dei nostri figli è una battaglia persa. E allora tanto vale amministrare la sconfitta, e farla diventare una specie di pareggio, se non una striminzita vittoria.
Va letta così, secondo chi scrive, la liberalizzazione dell'uso degli smartphone in classe annunciata ieri dalla ministra rossa di capelli e di cuore Valeria Fedeli. I telefoni e i tablet sono dappertutto, accompagnano i nostri figli (non solo loro, per la verità) da quando si svegliano a quando vanno a dormire, le regole che noi genitori cerchiamo di imporre fanno acqua da tutte le parti, ammettiamolo una volta per tutte. Finora, quindi l'unico terreno franco erano i viaggi aerei e le ore di scuola. Che poi sappiamo benissimo che i ragazzi smanettano sugli smartphone anche durante l'ora di Storia dell'arte, con la loro disinvoltura di nativi digitali. Augh.
Quindi, se un nemico non puoi batterlo fattelo amico. Se lo smartphone è dappertutto tanto vale utilizzarlo a fini didattici. Visto che, peraltro, nessun mezzo è buono o cattivo di per sé ma bisogna vedere che uso se ne fa. E lo smartphone contiene tutto lo scibile e tutta la scempiaggine: è come l'inferno e il paradiso impacchettati - con buona pace di Dante - in 200 centimetri quadri.
Quindi d'accordo.
La sfida è usare i dispositivi che i ragazzi possiedono per fare lezione, secondo regole che saranno stabilite da una commissione. Ecco, ministra Fedeli: lo smartphone in classe glielo perdoniamo, ma la commissione proprio no.